Tradizioni culinarie

La roccaforte degli scarpinocc è a Ponte Selva da oltre 45 anni

La roccaforte degli scarpinocc è a Ponte Selva da oltre 45 anni
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Foto ©Bergamopost/Luca Della Maddalena

 

Il signor Silvio Imberti ci tiene molto a sottolineare, con un certo orgoglio, che quest’anno ricorrono i quarantacinque anni della sua attività. Anche se in realtà si sta già avvicinando ai quarantasei, perché il compleanno ufficiale dell’Albergo Ristorante della Pesa di Ponte Selva, frazione di Parre, è ufficialmente l’8 gennaio. Poi mostra le fotografie storiche appese alla parete del bar con sala da biliardo: sono riproduzioni di vecchi scatti che immortalano i lavori della stazione ferroviaria di Ponte Selva, nel punto esatto in cui la strada, attraversando il Serio, riprende a salire verso il centro di Clusone. Erano gli ultimissimi anni del 1800 e già esisteva la struttura che oggi ospita il ristorante. Come si può facilmente immaginare dal nome, si trattava un tempo della pesa pubblica per le merci che a l l’inizio del secolo ospitava un piccolo ristoro.

 

 

Niente a che vedere con i casoncelli. Il signor Silvio c’è arrivato nei primi anni Settanta, dopo qualche anno è diventato barista ad Ardesio, e da allora si è messo a fare quello che sapeva fare meglio: gli scarpinocc de Parr. Da che lui ricordi, in questo paese di montagna è sempre esistita questa tipologia di pasta ripiena, che in nessun modo – specifica – deve essere confusa con i casoncelli, che poco hanno a che vedere con la specialità scalvina. Prima di tutto perché, a differenza del cugino bergamasco più famoso del mondo, il ripieno dello scarpinot è sempre di magro e ben codificato: pane e formaggio. Mentre il casoncello è notoriamente una pasta ripiena che accoglie un po’ di tutto e molto spesso, se non sempre, ha una componente di carne. Poi perché la tradizione vuole che sia condito unicamente con burro e salvia, mentre la pancetta non può mai mancare nel condimento del suo cugino più popolare.

 

 

La forma del perfetto scarpinot. Il vero scarpinot de Parr – continua Silvio – ha pasta un po’ spessa, chiara (di uova che ne vanno ben poche perché è un impasto povero) e ha una forma raccolta, non di certo allungata, che ricorda, lo dice il nome stesso, quella di una scarpetta. Non una qualunque, ma un certo tipo di calzature, oggi completamente dimenticate, che avevano una suola di stoffa compressa e la parte superiore in velluto. Silvio azzarda un’etimologia: non avendo una parte dura che facesse rumore queste particolari scarpe poteva essere indossate di notte senza paura di essere scoperti: scarp de nocc. Per concludere, come fosse un sigillo di garanzia, la fossetta in cima al raviolo che si ottiene esercitando una piccola pressione del dito mignolo e ne certifica l’artigianalità. Ci vuole una grande manualità per farli, per riuscire a crearne un boccone non troppo grande, un’operazione che un macchinario industriale non riesce a compiere, e che quindi è da tenere a mente quando ve li servono come specialità della casa.

Gli scarpinocc della Pesa. Alla Pesa si fanno quasi tutti i giorni perché sono il piatto forte del ristorante e da quasi mezzo secolo il signor Silvio, la moglie e i figli si raccolgono attorno al tavolo per creare questi manicaretti. Una volta – racconta – si facevano in poche occasioni dell’anno, le feste più importanti, a cominciare da quella del patrono del paese, san Pietro, che cadeva il 29 giugno, poi c’era la Pasqua e Ferragosto e qualche altra data durante l’anno, mentre, con l’arrivo del benessere, delle fabbriche e del lavoro, si sono slegati dalle festività per diventare quasi un pasto quotidiano. Oggi qui se ne preparano, uno per uno, quasi 2mila a settimana. La maggior parte sono destinati ai clienti del ristorante, mentre qualche donzéna è venduta a chi se li vuole portare a casa. Dodici è per tradizione il numero giusto per un piatto ricco, anche perché, come dice un motto popolare che ne lascia intendere il potere saziante, gli scarpinocc gemellano in pancia.

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Le altre specialità di casa. Oltre ai ravioli tipici, un altro capitolo interessante della famiglia Imberti sono i salumi, che compongono il ricco tagliere degli antipasti: provengono tutti dalla cascina della famiglia. A meno di un chilometro di distanza dal ristorante si allevano infatti maiali, pecore e agnelli. Dal maiale viene ricavato un buon salame servito ben stagionato (si arriva anche ai tre mesi di riposo in cantina), poi si propongono il prosciutto crudo, la pancetta e anche il lardo, divenuto in questi tempi un salume particolarmente richiesto. Si prepara anche la castradina e, su richiesta, cotechini e vecchi piatti della tradizione.

Vecchia sala vecchio stile, un posto alla buona, quanto sincero nell’accontentare i suoi avventori. Il 5 maggio qui si sono festeggiati i gloriosi quarantacinque (quasi quarantasei) anni di una delle ultime roccaforti di un piatto storico che, a torto, è poco conosciuto.

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