L’abisso che passa tra il “tègn a mà” e “èss ü piöcc”
Il dialetto bergamasco mette alla berlina l’avaro, cioè la persona spiritualmente più povera del mondo

Di Ezio Foresti*
Tra la parsimonia e l’avarizia c’è un abisso e noi lo sappiamo benissimo, perché usiamo per la prima la delicata perifrasi “tègn a mà”, e per la seconda la spregiativa espressione “èss ü piöcc”. La parola “avaro” poi non ha un termine corrispondente nella nostra lingua, e compare nel nostro vocabolario solo come prestito integrale dall’italiano.
Di questa figura diciamo che l’è ‘l piö poarèt del mónd, visto che non ha modo di godere dei propri averi terreni. È talmente legato al possesso che l’fà ‘l sègn de la crus col pögn, per non schiudere le dita metaforicamente strette intorno al suo patrimonio.
La sua costante ricerca del profitto personale viene descritta come fa i sólcc sö la pèl de ü piöcc, a rimarcare la completa assenza di scrupoli e lo sfruttamento di ogni occasione, come chi è capace di trarre guadagno persino dalla pelle di un pidocchio. Oppure, ancora peggio, si dice di lui che no’l maia per no cagà, cioè conduce una vita di rinunce senza motivo.
Se la sua vita è miserabile la morte non è da meno, perché l’mör col có ‘n còsta, girando il capo di lato allo scopo di non perdere di vista nemmeno per un momento le proprie ricchezze. Un attaccamento che ci fa esclamare con disprezzo: cóssa l’völ fàn di sölcc, salài? A significare che il mero accumulo di denaro non dà alcuna soddisfazione.
Del resto, siamo consapevoli che nulla di quello che conserviamo tanto gelosamente in vita ci seguirà nel nostro viaggio ultraterreno: de là no s’pórta dré negót. A l l’origine di tutti questi motti c’è probabilmente una saggezza antica, affinata in secoli di osservazione delle vicende umane. Quella che ci fa affermare che la ròba l’è mia de chèi ch’i la fà, ma de chèi ch’i la gód.
Non serve a nulla, in altre parole, dedicarsi ossessivamente all’ammasso di beni, se non si ha il tempo materiale per trarne benefici, in termini di benessere personale.
*in memoria