Le campionesse orobiche del bridge (che, se non lo sapete, è uno sport)

Le donne del bridge sanno cos’è la pazienza. «Però qualche volta si litiga. Perché la coppia di bridge è un po’ come essere marito e moglie. Bisogna giostrare i rapporti e c’è sempre uno che domina e l’altro che accetta il compromesso». Le donne del bridge sanno come si fa baldoria. «Si esce, si fa la cenetta tutte insieme, shopping, le solite cose. Però il bridge lo prendiamo seriamente. All’ultimo torneo, per dire, centocinquanta mani in tre giorni. Mica male». Le donne del bridge sono quelle come Paola, Daniela, Emy, Nuccia, Ilaria e Giulia, le tre coppie lady della Bergamasca Bridge, l’associazione di via Moroni. Hanno appena partecipato al campionato italiano a Salsomaggiore Terme. Sono forti, tenaci, argute. E quando c’è da fare una mano di bridge non si tirano mai indietro. «A dire la verità ci piacerebbe che qualche giovane si avvicinasse a questo sport. Quando vai a Salso la maggior parte delle facce sono lunghe, ingrugnate. Il problema è che l’età media è molto alta».
Paola, Daniela, Emy, Nuccia, Ilaria e Giulia della Bergamasca Bridge
Fermi tutti, dimenticate i cliché. Sigarette fumate fino all’alba e stanzacce piene di nebbia che puzza? «Sbagliato. Durante il gioco non si può fumare. Al massimo fumi quando sei morto. Cioè è il turno di gioco del tuo compagno. Allora tu posi le carte e se c’è tempo vai fuori a prendere una boccata d’aria. O a tirarla». Ossessioni, mani che prudono alla Giocatore del vecchio caro Dostojevskij? «Ma no, la fortuna qui non c’entra nulla o molto poco. È un gioco di intelligenza, richiede capacità di analisi, previsione, comprensione». Il Cio lo ha definito lo sport della mente.
Perché, se ancora non lo avete capito: sì, il bridge è uno sport. Nei Paesi anglosassoni lo si insegna in carcere a scopo rieducativo e la conoscenza delle basi è applicata nell’attività lavorativa di molti operatori sociali. Alcune ricerche mediche hanno dimostrato che nei giocatori di bridge anziani lo sviluppo di deficit senili è significativamente inferiore. Ma non è necessario essere anziani per far viaggiare la mente. Anzi, più si è brillanti più si gioca meglio.
La squadra ROLLA (Rolla, Beretta, Bonanno, Capaldo, Corioni, Rubelli) vince il proprio girone!!! Giocherà, quindi, in...
Pubblicato da Associazione Bergamasca Bridge su Martedì 25 aprile 2017
Come sempre anche Bergamo fa la sua parte. Sul nostro territorio ci sono tre associazioni attive (le altre due sono l’Ass. Bergamasca Bridge Loreto e la Bridge Excelsior) e l’idea è quella di coinvolgere più persone possibile. Donne, uomini, ragazzi, anziani. Nessuna differenza. Spesso ci si avvicina per caso. Paola Beretta, romana, «l’età non la dico: prossima alla pensione», a Bergamo dal ’79, entrò in un circolo un giorno di tanti anni fa. «Stavo attraversando un momento particolare della mia vita. Proviamo, mi dissi. Eravamo una ventina e restammo in due. Sempre le ultime ad andare via. Si stava lì fino all’una. Io insegno matematica e scienze, le materie più amate dagli studenti italiani. Anni fa provai a rendere il bridge un progetto scolastico nel pomeriggio. Poi ho smesso di essere combattiva». Però il bridge è davvero una materia d’insegnamento in scuole superiori ed università estere, e anche in Italia la diffusione nell’ambito scolastico sta facendo passi avanti. Ma le donne del bridge sono anche donne che amano vincere.
Figuriamoci le tre coppie bergamasche: ai campionati non vanno per respirare aria buona. «Si va per dare il massimo. Siamo agoniste e la voglia di conquistare una medaglia c’è», spiega Lucia Corioni, 50 anni, addetta al controllo gestione bilanci di una multinazionale. Del resto, il bridge italiano è famoso nel mondo: i nostri atleti hanno vinto 15 titoli mondiali, 25 europei e 7 olimpiadi. Dietro la socialità, il dialogo e la voglia di stare insieme tipico di chi gioca a carte, c’è un mondo di ambiziosi. Proprio come gli atleti della maratona, del calcio o di qualsiasi altro sport. «Io gioco a Bridge da quindici anni - aggiunge -, mi ci sono avvicinata in un momento particolare della mia vita, mia zia giocava da tempo e così eccomi qua. Un paio di corsi, e sono rimasta nel giro. Gioco due volte a settimana. Quando vai a fare competizioni cerchi di dare il meglio, è un gioco coinvolgente perché in mezzo c’è la strategia, la psicologia, cerchi di capire gli avversari e anche il tuo compagno. È appassionante. E poi c’è sempre da studiare». Non si finisce mai di imparare.