Da Stefano ed Enrica

Metti un piatto da Burro ad Alzano Sardegna, amore e tanta fantasia

Metti un piatto da Burro ad Alzano Sardegna, amore e tanta fantasia
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Foto di Luca Della Maddalena

 

C’è tanto fermento in giro. Dentro e fuori Bergamo. Molte aperture interessanti e assai stimolanti nella Bergamasca ci portano a pensare a una vera e propria renaissance della cultura gastronomica che raccoglie nuova linfa vitale dalle giovani braccia che scelgono questo mestiere e, con audacia, si lanciano con proposte originali. Nuove, inaspettate, buone.

Basta varcare la soglia. Ultimo in ordine di apertura è il ristorante Burro di Alzano Lombardo. Simbolo del locale è una vecchia zangola, lo strumento con il quale da sempre si produce il burro nella cultura contadina, una di quelle vintage, da usare ancora con tanto olio di gomito. Un’indicazione esplicita, anche se in realtà, benché questo ingrediente sia uno dei preferiti dello chef Stefano Zanda, non ne troverete molto nei piatti che propone il semplice ma imprevedibile menù. L’abito non fa il monaco. È vero. Ma ci sono certi posti che, varcata la soglia, ti fanno capire che potete mettervi a tavola belli sicuri. Sarà un fatto di arredo, di dettagli, di capacità di creare un’atmosfera autentica e invogliante, il punto è che poi vi aspettate la stessa cura e atmosfera anche nel piatto. E così è da Burro. Sarà anche che, come racconta la compagna dello chef Enrica Cassotti, che gestisce il servizio del ristorante, una volta la sala d’ingresso era una vecchia cantina per il vino, con tanto di pietre antiche, o forse sono i tavoli in legno, l’assenza di tovaglie o le piantine pensili, ma pare di essere entrati in qualche locale nordico.

 

 

Più di un locale sardo in terra orobica. Poi aprite il menù e trovare la Fregola in guazzetto di mare, i Culurgiones e le Seadas e capite che forse qualcosa vi sta sfuggendo. In effetti Stefano, pur essendo nato e cresciuto a Bergamo, ha origini sarde, dell’entroterra, e anche un forte legame con i gusti di quella tradizione con la quale è cresciuto. Attenti: l’errore più grande che potreste fare è pensare che il nostro abbia aperto un ristorante sardo tra le montagne orobiche. In verità l’operazione è ben più sofisticata e articolata di una semplice esecuzione di un ricettario regionale. Il punto di riferimento era chiaro, e non potendo farne a meno lo ha reso un punto di forza. Dopotutto ha il vantaggio di portarsi dietro un bagaglio culturale non così comune e da questo, spulciando, ha creato una sua personale cucina.

Una cucina nuova e antica. Ancora un po’ di cautela è necessaria per non credere che Stefano abbia semplicemente, come si dice adesso, reinventato una cucina regionale; ha infatti sfruttato le tecniche, gli ingredienti e gli impasti che aveva a disposizione per costruire una cucina nuova. E infatti i culurgiones sono ripieni di pecorino, ricotta e scorza di agrumi e zafferano, su ragù di agnello, mentre tra gli antipasti spicca una tartare di tonno con spuma di burrata e gazpacho di pomodorini e cialda al nero di seppia, oppure un paté di fegato di vitello, vernaccia, pan brioches, gelatina di Sauternes e marmellata di arance amare. I secondi si dividono tra carne e pesce, tra cui il Petto d’anatra con funghi porcini, crema di sedano rapa e riduzione di Mirto, e il Musetto con zabajone all’aceto e tarassaco.

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Numeri e futuro. Una carta strutturata 4+4+4 secondo un modo moderno di intenderla: poche cose, che cambiano spesso, fatte bene. E soprattutto con un rapporto qualità prezzo davvero notevole: 13 euro è il costo medio di un piatto, che però sapete già che vi stupirà. La carta del vino, circa 40 etichette, è ancora un po’ troppo ruffiana, ma i padroni di casa hanno le conoscenze e la voglia per osare anche da quel punto di vista. Un bel posto, una bella visione, tanta audacia. Non male per un’apertura con alle spalle poco più di due mesi. Ha tutti i numeri per diventare la risposta brillante quando si fa troppo insidiosa la domanda del week end: dove andiamo a mangiare? E noi glielo auguriamo!

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