Il regno del mangiar bene

Metti un piatto da Cece e Simo Una tartare come Dio comanda

Metti un piatto da Cece e Simo Una tartare come Dio comanda
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Foto gentile concessione Cece e Simo/Luca Della Maddalena.

 

Se state cercando una tartare di manzo buona, se avete voglia di mangiarne una che vi lasci soddisfatti, la trovate qui. Si parte dal cuore del filetto di Fassona piemontese tagliato al coltello. Viene rigorosamente preparata davanti a voi, al tavolo, come si faceva una volta, come si dovrebbe fare sempre. Con la giusta attenzione e la giusta dose, si aggiungono nel piatto di preparazione gli ingredienti che faranno il condimento della carne. Si parte dal tuorlo d’uovo, poi un po’ di acciuga, scalogno, capperi, qualche goccia di salsa Worcester, alcune di Tabasco, sale, pepe e si emulsiona vigorosamente con abbondante olio di oliva. Il risultato è un crema soffice e saporita che farà da condimento perfetto per la nostra battuta. Probabilmente la miglior tartare in città per gusto e consistenza.

 

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Cece mentre prepara la tartare.

 

Le carni eccellenti. Che si venga da Cece e Simo per mangiare la carne buona non è una novità. La loro attenzione per la materia prima, servita da uno dei migliori macellai di Bergamo, e per le giuste cotture, li hanno resi un punto di riferimento affidabile. Una pagina del menù specifica è sempre dedicata ai vari tagli di carne, preparati anche al camino, che ogni sera viene appositamente acceso in cucina. Tra le più apprezzate, anche perché quasi introvabile, è la Picanha, taglio di carne tenerissimo e molto saporito tipico della cucina del Sud America, molto richiesto. Impossibile non citare tra le chicche quelle che il menù chiama giustamente Gli Introvabili : una proposta di piatti che, costruiti sulla riscoperta di preparazioni ormai scomparse dai menù dei ristoranti, propone tutti i tipi di frattaglie, ma anche lumache e cosce di rana. E per quelli veramente coraggiosi, le palle di toro fritte, una vera rarità!

 

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Zenone Lorenzi, il macellaio di fiducia.

 

Il locale. Tanto consigliato e tanto nominato quando capita di chiedere un’idea per passare una serata nel posto giusto: elegante ma sempre alla mano, ricercato ma mai stravagante. Insomma, se cercate un angolino tranquillo dove mangiare (e bere) bene senza spendere una follia, lo troverete da Cece e Simo in via IV novembre.

 

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Filippo Cammarata, lo chef. 

 

Filippo Cammarata, lo chef e la sua filosofia. La cucina è affidata a un giovane e talentuoso chef, Filippo Cammarata. Dall’animo sperimentatore, giovane, ma già padrone di molta tecnica, riesce a stupire e a emozionare i commensali a ogni cambio di carta, pescando molto anche tra le tradizioni siciliane alle quali è legato. Se volete assaggiare qualcosa di interessante dalla carta autunnale, il consiglio è quello di provare il Pane e Tumazzu, (altro non è che pane e pecorino), che ben rappresenta la filosofia del giovane chef: riprendere una classe di sapori estremamente semplici ma allo stesso tempo evocativi, e renderli - attraverso lo studio, la scomposizione e la ricomposizione - qualcosa di straordinariamente buono, mantenendo il rigore della semplicità degli ingredienti. Si tratta in fondo di esercitare quel difficilissimo compito di fermare l’emozione di un ricordo personale, di un sapore antico, e sforzarsi di dilatarlo per renderlo il più universale possibile. Come una ninna nanna che si trasforma in una sinfonia.

 

Cece e Simo

Cece e Simo, i padroni di casa.

 

Cece e Simo, i padroni di casa. Ma quello che definisce forse più di tutto questo angolo di Bergamo e ne ha fatto in un certo senso un punto di riferimento sono proprio i due padroni di casa, che riescono a trasmettere la sincera passione per il loro lavoro in ogni serata. Difficilmente si riesce a immaginarseli in altri panni se non quelli che vestono tutte le sere, gillet e grembiule, prima di entrare in servizio e animare con il giusto ritmo la sala del ristorante. È forse questo, oltre a tutto il resto, che ne ha fatto un punto di ritrovo sempre all’altezza, e anche solo per questo vale la pena farci un salto.

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