Papa Giovanni, centro d'eccellenza nella lotta contro il tumore al seno

La buona notizia è che il novantacinque per cento delle donne operate di tumore al seno guarisce. La notizia cattiva è che l’età media delle donne colpite da questa malattia si è abbassata notevolmente, anche a Bergamo. Un’altra buona notizia riguarda la qualità delle cure fornite dal Papa Giovanni: l'Europa ha chiesto agli Stati membri di costituire entro il 2016 dei centri multidisciplinari di senologia chiamati Breast Unit, all'Ospedale di Bergamo la direttiva europea è già realtà da vent’anni.
Il carcinoma alla mammella rappresenta il 28 percento dei tumori che colpiscono le donne nella bergamasca, con oltre ottocento nuovi casi ogni anno. Circa cinquecento vengono operati dall’équipe della Senologia dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII, riconosciuta a livello internazionale come «Modello Bergamo», un'eccellenza che porta l'azienda ospedaliera cittadina al quarto posto in Europa, in testa alla classifica delle strutture pubbliche in Italia e al quarto dopo l'Istituto Europeo dei Tumori di Veronesi, Humanitas e Istituto Nazionale dei Tumori, se si considerano anche le strutture private.
Da Bergamo a Bangkok. «Siamo stati la prima struttura pubblica complessa a costituirsi in Italia - spiega Privato Fenaroli, direttore del reparto di senologia dell'Ospedale di Bergamo - e il mese prossimo saremo a Bangkok, in Thailandia, su invito del direttore del Cancer Center thailandese, che ci ha chiesto di presentare la nostra attività legata all'utilizzo della Iort, una radioterapia che viene effettuata già in sede operatoria e non solo postoperatoria. Con la Iort abbiamo trattato circa novecento casi».
Il Modello Bergamo. Dal 2006 infatti l'ospedale Papa Giovanni XXIII è l'unica struttura pubblica abilitata e autorizzata dalla Regione Lombardia in cui viene eseguita questa terapia nelle donne in menopausa e dal febbraio 2012 anche nelle donne in premenopausa, mentre il «Modello Bergamo» è stata una pionieristica intuizione di Privato Fenaroli, che ha organizzato la prima struttura complessa nazionale di senologia con personale dedicato esclusivamente alla diagnosi e alla cura delle pazienti affette da tumore e di tutta la patologia senologica, integrando le figure professionali del chirurgo senologo, del radiologo, del chirurgo plastico e dell’oncologo.
«Quando abbiamo cominciato nel 1998 la senologia non esisteva come reparto e ancora oggi non c'è una legge che riconosce una specialità di senologia o una specialità di chirurgia con branca di senologia all'interno», spiega Fenaroli, che è anche autore della proposta di legge per il riconoscimento della Specialità in senologia ed ha fornito un parere in qualità di esperto dalla Commissione Sanità del Senato per l’organiz - zazione delle «Breast Unit» sul territorio Nazionale. Tutti possono aprire questi reparti dedicati alla cura del carcinoma, ma solo chi opera almeno duecento tumori all'anno può essere considerato attendibile».
La cura su quattro gambe. «La cura la immagino come un tavolo composto dal piano e da quattro gambe: il successo della cura – il piano - poggia su quattro sostegni: accoglienza, gestione, accompagnamento della persona e scienza. Se ce n'è solo uno, l'insuccesso è garantito: se c'è solo scienza abbiamo creato un buon tecnico, se non c'è la scienza c'è un ciarlatano. L'importante è tenere sempre quattro gambe sotto il tavolo. Non garantiamo l'immortalità, ma sempre più frequentemente il tumore è ben intercettato e ben curato si può vivere bene e con le migliori tecniche, gestire e accompagnare».
La delicatezza della diagnosi. Così, accanto all'aspetto clinico, Fenaroli e la sua équipe hanno messo a punto una "teoria dello specchio" basata sull'empatia: «Ci siamo chiesti come avremmo voluto ricevere una notizia del genere e come ci avrebbe fatto sentire meglio essere trattati in un modo piuttosto che in un altro, un concetto semplice che si applica a ogni ambito in cui si ha a che fare con le persone, ma che in questo contesto così delicato è fondamentale».
Così è stato studiato ogni aspetto del percorso che una donna con un tumore affronta, non solo in sala operatoria, ma già dal momento in cui le si comunica la diagnosi: «Siamo stati i primi al mondo a videoregistrare quei colloqui, per studiare insieme agli psicologi il modo migliore per organizzare quel momento delicatissimo. Poi abbiamo steso una sorta di vademecum con aspetti piccoli ma fondamentali per il rispetto della persona: dal fare un colloquio in un ambiente decoroso, all'assenza di telefoni che squillino, al divieto assoluto di guardare orologi, concentrandosi totalmente sulla persona, all'utilizzo di disegni esplicativi in cui si spiega ogni passaggio, all'utilizzo di un lessico semplice e di gesti o del dialetto nel caso di donne anziane per comunicare nel modo più efficace e delicato possibile».
Una protesi personalizzata. Ora, a quasi vent’anni dall'avviamento di un percorso completo di trattamento del tumore al seno e a dieci dall'avvio della terapia IORT, Bergamo prosegue la sua attività di ricerca pionieristica con un'altra innovazione che mette ulteriormente al centro la donna: «Abbiamo pensato a una personalizzazione delle protesi per le donne sottoposte a mastectomia – continua Fenaroli -. Si chiama “Personal Breast”, un progetto di ricerca avviato in collaborazione con il Politecnico di Milano e con l'Università Statale di Milano, che prevede di personalizzare completamente la protesi ricostruendo il seno esatto della paziente: a breve, una donna che ha subito una mastectomia potrà riavere la forma originale del suo seno grazie a una scansione esterna e allo stampo del calco della mammella. Per la protesi abbiamo brevettato un nuovo materiale leggerissimo da inserire in sede sottocutanea per una ricostruzione perfetta. Il progetto è stato presentato lo scorso maggio al congresso nazionale dei senologi chirurghi e ad oggi i lavori sono in fase avanzata».
Ogni cento casi uno è un uomo. «Ogni anno in ambulatorio vediamo dalle 12 alle 13mila donne – spiega ancora Fenaroli -, novecento di loro faranno un intervento, anche per patologie benigne o sospette maligne e cento saranno trattate con la IORT. Fino a dieci anni fa c'erano 38mila nuovi tumori all'anno, ora siamo arrivati a 48mila e si è abbassata di molto l'età media: il 35 percento ha tra i 25 e i 50 anni, il 30 percento tra i 50 e 70 e il resto da 70 in su. Nel 90 percento dei casi il tumore compare in famiglia per la prima volta, nel 5 percento nel nucleo famigliare si trova un altro caso, nel 5 percento si parla di rischio genetico, con più casi in famiglia. Oltre al carcinoma alla mammella femminile c'è anche quello maschile: ogni cento casi, uno è un uomo».
Guarisce il 95 percento. «Il tumore è un ostacolo serio - conclude il dottor Fenaroli -, la sua causa non è ancora stata individuata con precisione, ma il suo trattamento sta raggiungendo risultati davvero buoni. Non bisogna illudere le persone perché comunque si tratta senza dubbio di una patologia grave, ma se ben gestito può dare alla paziente prospettive di vita ottime e, grazie ai controlli, l'esito positivo della cura del carcinoma aumenta perché riusciamo a intervenire sempre prima. Oggi 95 donne su cento che si sono sottoposte a un intervento chirurgico per un tumore al seno a cinque anni dall'intervento sono guarite».