Passeggiata in Borgo Canale con qualche bella sorpresa
Estate! Al bando auto e mezzi pubblici, quindi tutti a piedi in città lungo le scalette dei colli di Bergamo, che possono rivelare scenari fantastici soprattutto se percorse al chiaro di luna: sentieri per lo più in salita, spesso acciottolati o gradonati che, fiancheggiando terrazzamenti, giardini ed edifici, costituiscono una piacevole alternativa alle vie trafficate a cui siamo quotidianamente condannati. Scalette che sapranno regalarvi passeggiate nella quiete d’altri tempi, percorrendo terrazzamenti coltivati per secoli con dedizione e dove ci sono orti e broli oltre a splendidi giardini, che adornano le ville e le dimore di campagna. I loro nomi sono tra i più variegati, ma è la natura che vince al di là degli antichi toponimi.
Ed è proprio così, all’aperto, che è possibile raggiungere Borgo Canale: imboccando la Scaletta Fontanabrolo (sorgente dell’orto), già nota e funzionante ai tempi della Serenissima, o quella Delle More, è possibile restituire il sapore rurale al borgo avvertendone i profumi e gli odori di una volta, così salutari e ameni, ad esempio grazie all’originale cinquecentesco canaletto scolmatore dell’acqua posizionato a fianco della gradinata. Uno spettacolo ancora più suggestivo può essere goduto se le scalette in questione vengono percorse a ritroso, in discesa, con lo sguardo verso l’orizzonte lontano, oltre la città.
Borgo Canale
Il toponimo di Canale è documentato sin dall’anno 842 ed è sempre stato riferito al versante occidentale della città, esteso sia sul territorio di Castagneta che su quello della Val d’Astino. Il nome rimanda alla presenza dell’acqua e delle condotte idriche sotterranee, relative all’acquedotto realizzato in epoca romana. Il borgo rispetto agli altri ha sempre ricoperto una superficie vastissima, che dalla chiesa di Santa Grata inter vites e di Sant’Erasmo arrivava a comprendere anche il Corpo Santo di Curnasco, oggi comune autonomo, prima di connettersi con il territorio suburbano: a lui fino alla metà del XIII secolo facevano capo i rioni di San Vigilio, Fontana, Castagneta e Astino. Nonostante la sua forte connotazione campestre, che lo distingue dagli altri più alteri e “cittadini”, tra le sue cortine cela la casa natale del grande compositore Gaetano Donizetti, risalente al Settecento e dichiarata nel 1926 Monumento Nazionale, quella del violoncellista Alfredo Patti e del pittore Vincenzo Bonomini - protagonista assoluto con i suoi macabri nella chiesa di Santa Grata, dove la nuova sagrestia è il risultato dell’adattamento dei locali della Casa Vela, già Vavassori, sede fino al secolo scorso dell’antica Fabbrica d’organi Bossi. Chiude lo scenario il monumentale scalone di San Gottardo che raccorda Borgo Canale a via Sudorno.
Chiesa di Santa Grata Inter Vites
Secondo la tradizione, la chiesa fu costruita nel IV secolo sul sepolcro di Grata, compatrona di Bergamo con Alessandro dalla fine del XVIII secolo, ma le prime notizie risalgono solo al VIII secolo. La dicitura “Inter Vites” (tra le viti) la fa distinguere dall’omonima chiesa in via Arena, complesso monastico claustrale, e anche il comparto decorativo interno è molto diverso: qui famosi sono i famosi macabri di Vincenzo Bonomini, ovvero il ciclo di Scene di scheletri viventi che, commissionatigli dalla Parrocchia in cui il pittore risiedeva, avrebbero dovuto ricordare la celebrazione del triduo dei morti. Mai nessuno avrebbe pensato che un giorno quei sorrisi ilari e ossuti avrebbero campeggiato nel catino absidale della chiesa, non solo per ricordare il destino comune di tutti, ma anche per celebrare l’invincibilità della morte sull’uomo. La particolarità, infatti, consiste proprio nella modalità di rappresentazione delle figure, che richiamavano persone che abitavano nel borgo, riprese nella spontanea quotidianità. Tant'è che al momento dell'esposizione dei sei pannelli, questi scatenarono forti reazioni d'ilarità, poiché gli abiti, la fisionomia e la struttura degli scheletri (cranio, mandibola e teschio) lasciavano chiaramente intendere chi vi fosse realmente ritratto: tutti abitanti del borgo, dal carpentiere ai due frati in preghiera, dalla coppia campagnola agli sposi borghesi, fino al tamburino della Cisalpina. Anche il Bonomini si raffigurò nei panni di pittore, affiancato dalla terza moglie e dall’apprendista intento a mescere i colori.
Casa Vela
E l’altra sorpresa che ci riserva il borgo, tra le varie, è data dalle grottesche di Casa Vela (già Vavassori), che rivestono il fregio e parte del soffitto del locale oggi mutato in nova sacrestia della Parrocchiale. Il termine “grottesche” rimanda agli antri percorsi dagli artisti nel Cinquecento e oltre, facendosi largo tra spine e rovi per raggiungere luoghi antichissimi, sepolto da secoli di abbandono e che celavano le decorazioni policrome delle domus gentilizie della Roma imperiale. Nelle figure della sagrestia, che si articolano e che balzano tra girali e virgulti, molti sono i riferimenti ad opere di Lorenzo Lotto, ma anche a diversi altri artisti coevi: nonostante i nomi paventati dell’autore della decorazione siano vari, si crede che l’opera sia frutto dell’ingegno di Giovanni Battista Guarinoni d’Averara, nipote per via materna di Cristoforo Baschenis il Vecchio, la cui genealogia si celebra quest’anno per la ricorrenza del 400esimo anniversario dalla nascita di Evaristo Baschenis, ultimo della stirpe dei frescanti d’Averara.