Riaperta villa Pesenti Agliardi a Sombreno, dove Maria Montessori era di casa
Dopo due anni di chiusura, causa Covid, sono tornati visitatori ed eventi. La contessa Carlotta Myriam: «Una gioia immensa». Una grande storia
di Francesca Fenaroli
L’iPad e il cellulare sono sul tavolo del patio in giardino per gestire preventivi, eventi e prenotazioni: la quotidianità rilassata e privilegiata dei nobili è ormai appannaggio solo dei film in costume come Downton Abbey. A Sombreno, pochi chilometri da Bergamo, si trova Villa Pesenti Agliardi, un gioiello di architettura edilizia e paesaggistica: la contessa Carlotta Myriam ci concede un tour esclusivo tra le mura e il verde della sua straordinaria dimora, che dopo quasi due anni di chiusura forzata, causa Covid, sabato 18 settembre ha accolto nuovi visitatori.
Ci racconta la storia di questo luogo incantevole?
«Già nel Seicento in questo posto si trovava la villa di famiglia dei nobili Pesenti. Il conte Pietro Pesenti, fervente sostenitore delle idee illuministe e poi di Napoleone e presidente del dipartimento del Serio durante la Repubblica Cisalpina, decise di ampliare la villa per renderla più funzionale ad accogliere i personaggi politici durante i vari consessi».
Il parco è uno tra i più importanti esempi di giardini neoclasssici europei, poi trasformato in parte con tocchi romantici: come nacque l’idea del progetto e il sodalizio tra l’architetto Leopold Pollack e il suo avo?
«La scelta ricadde su Pollack, perché era un giovane e innovativo architetto, che si era già distinto in Lombardia con numerosi progetti, come ad esempio la Villa Belgioioso Reale a Milano. Stupisce sempre chi visita la villa, la divisione in miniappartamenti di tre stanze con affaccio sul giardino: una sorta di residence b&b ante litteram. Conserviamo ancora le 27 tavole acquarellate del progetto originale, dove oltre agli elementi ancora oggi visibili come la casa dell’ortolano, la serra fredda e il tempietto del silenzio, erano previsti anche un frutteto, un vigneto, delle aiuole piantumate non solo a fiori, ma anche ortaggi: c’erano tutte le intenzioni di rendere questo luogo autosufficiente anche dal punto di vista delle derrate alimentari».
Come mai rimase incompiuto?
«Il mio antenato fu colpito da problemi economici che, uniti alla forte delusione per la virata autoritaria di Napoleone, lo portarono ad abbandonare la vita pubblica, a ritirarsi sempre di più, fino al triste decesso rinchiuso in un manicomio. Dopo la sua morte, la nipote decise di proseguire i lavori, ma abbandonò i dettami neoclassici e si lasciò sedurre dai gusti estetici del movimento in voga all’epoca, il Romanticismo: ecco spiegata la presenza di essenze, fiori e piante decisamente esotici, come il cedro dell’Himalaya».
Il suo cognome ha più di mille anni di storia, chi erano gli Agliardi?
«Leggenda vuole che il 30 maggio 1007 giunsero a Bergamo il re d’Ungheria e di Boemia con il suo consigliere personale Longofredo e i suoi figli: Ingelforte dei Capitanei del alio, Leopardo dei Capitanei de Martinengo e Terzo dei gentiles de tertio. Innamoratisi della terra bergamasca e di tre fanciulle, questi cavalieri divennero i capostipiti di tre delle più importanti famiglie bergamasche: Agliardi, Martinengo e Terzi. Mio zio, facendo delle ricerche approfondite, ha scoperto che di vero sicuramente c’è che questi casati avessero in comune un possedimento in Valcavallina, delle miniere d’argento per la precisione. Il primo palazzo di famiglia si trovava vicino alla Rocca, poi si spostarono nell’edificio in via Pignolo (attualmente ancora della famiglia) fino ad arrivare dove ci troviamo ora. Nell’Ottocento Paolo Agliardi sposò Marianna Pesenti, l’ultima discendente dei Conti Pesenti e proprietaria della villa di Sombreno e da qui ecco spiegata l’unione delle famiglie».
Quanto è stato forte e quanto lo è ancora il legame con il territorio e la popolazione bergamasca?
«Il mio antenato del Quattrocento Alessio Agliardi, oltre che essere un insigne architetto, era molto amico di Bartolomeo Colleoni che, per stima e riconoscenza, lo nominò tra i membri di diritto del Consiglio del Luogo Pio Colleoni: ancora oggi, dopo quasi seicento anni, un membro della nostra famiglia è parte dell’istituzione che amministra i beni lasciati dal condottiero, tra cui la Cappella in Città Alta. Anche le donne della mia famiglia si sono distinte in quanto a intraprendenza e voglia di fare: la figlia di Alessio, Lucrezia, fu fondatrice e badessa del monastero di Sant’Anna ad Albino ed è possibile ammirare il suo ritratto, eseguito da Giovan Battista Moroni al Metropolitan Museum di New York. Passando a tempi più recenti, mia nonna Myriam la ricordano in molti come una persona molto generosa, che si è prodigata per aiutare i suoi compaesani, e non solo, soprattutto durante la Seconda Guerra Mondiale.
A proposito di nonna Myriam (all’anagrafe nata Maria Carolina Gallarati Scotti dei principi di Molfetta): come nacque l’amicizia con Maria Montessori? È vero che il ritratto sulle mille lire del vecchio conio fu scattato in questo giardino?
«Mia nonna era una donna all’avanguardia: appassionata di pedagogia, fu incuriosita fin da subito dal nuovo metodo scolastico e si iscrisse a un corso a Milano, dove conobbe la Montessori e lì nacque una profonda amicizia, che portò la rivoluzionaria educatrice a essere spesso ospite qui, nella villa di Sombreno. Durante uno di quei soggiorni, esattamente il 22 settembre 1949, il fotografo Sandro Da Re scattò l’istantanea poi usata come base per l’immagine incisa sulle banconote da mille lire. La Montessori non veniva solo per riposare, ma anche per visitare regolarmente la Casa dei Bambini di Sombreno, asilo fondato sempre dalla nonna Myriam seguendo gli insegnamenti dell’amica. Questo asilo fu una delle sole tre strutture in Italia che continuò l’opera della Montessori sia durante il regime fascista che negli anni della guerra. La nonna era una donna coraggiosa e testarda, si rifiutò sempre e categoricamente di chiudere».
Nonna Myriam fu anche protagonista di una storia d’amore molto particolare.
«Mi scusi, ma mi scappa un sorriso, perché sto realizzando che ho avuto una nonna veramente eclettica e che non si è fatta mancare nulla! Galeotta fu la storica libreria Hoepli a Milano negli anni ’20 dove Giovanni Battista Agliardi incontrò Myriam e scattò il colpo di fulmine. Essendo la giovine nobile di famiglia altolocata, i genitori chiesero al vescovo di Milano, amico di famiglia, di raccogliere informazioni sul giovanotto bergamasco. Il vescovo si rivolse a quello di Bergamo, Radini Tedeschi. Il segretario di Radini fece ricerche e confermò le nobili origini e l’animo buono dell’Agliardi e quindi i due innamorati convolarono a nozze con il beneplacito di tutti. Curiosità: quel segretario era don Angelo Roncalli, che in seguito celebrò anche il matrimonio di una delle mie zie proprio qui a Sombreno; la nonna lo andò a trovare anche a Roma, quando divenne Papa Giovanni XXIII».