«Bergamo una città autentica» Ritratto di un turista straniero

La rivista di viaggio Connections Magazine dedica ogni numero a due località legate da una rotta aerea diretta e low cost. Questa volta tocca a Cracovia, in Polonia, e a Bergamo. La nostra città è stata nominata Top Destination sul sito del periodico ed è elogiata in un articolo che fa onore al centro dal cuore antico e autentico, al riparo dagli assalti dei turisti e capace di liberare la propria bellezza con serena onestà. La città amata da Le Corbusier e da Stendhal ha affascinato anche l’autore del breve reportage, che non ha mancato di apprezzare le prelibatezze culinarie bergamasche, nel Ristorante Da Mimmo e al Vecchio Tagliere. Giunto nella città orobica partendo dalla Polonia, ha subito notato una grande differenza, come se avesse viaggiato anche nel tempo, e non solo nello spazio. Abbiamo tradotto il suo racconto.
La realtà autentica
Immagina una città italiana. Piena di turisti. Ti scontri con i loro zaini in strade strette, urli nei caffè per sovrastare il brusio multilinguistico; la bizzarra parlata italiana è sommersa da un’inondazione di inglese, tedesco o russo; nelle chiese strizzi gli occhi accecati dai flash delle macchine fotografiche; rovisti nelle tasche in cerca di spiccioli per illuminare il dipinto che incorona l’altare; ogni secondo un negozio offre souvenir: un negozio come migliaia di altri negozi in altre città – l’unica differenza consiste nelle iscrizioni su tazze orrende o magneti per il frigorifero.
E ora sbarazzati di tutti i turisti e lascia la città com’era prima che la folla capisse che posto magnifico fosse – e prima che altri imparassero che si possono fare soldi su questa bellezza. Semplicemente una città italiana con la sua generosa bellezza. La realtà autentica. Siete a Bergamo. Questa è stata la mia prima impressione – una città da prima del turismo. Mura in pietra grigia risalenti al 16° secolo, tra cui puoi sentire solo conversazioni tra individui nella cantata cadenza italiana, riempita ogni mezz’ora dalla musica delle campane proveniente dalle chiese – così numerose, qui – chiese che sono impregnate dell’odore di legno antico e di candele, chiese vuote, che ti invitano dentro quello per cui erano state originariamente costruite, prima che fossero trasformate in fiere, come in così tante città.
Siamo arrivati all’aeroporto di Bergamo-Milano. I nostri compagni passeggeri sono venuti qui a causa della seconda parte di questo nome; anziché Milano, noi abbiamo scelto Bergamo. È metà marzo, il periodo in cui in Polonia la primavera è ancora solo una promessa distante. Qui, guardandoci attorno e respirando un’aria diversa, ci sentiamo come se avessimo viaggiato non solo nello spazio, ma anche nel tempo, coprendo un mese in quelle due ore. Perché la primavera è già qui: giganteschi alberi di magnolia stanno fiorendo, aiuole piene di narcisi rilasciano il loro profumo, le foglie verde scuro di grandi cespugli di bosso luccicano.
Città alta, Città bassa
L’autista, che ci stava aspettando all’aeroporto, ci porta nel cono d’ombra attraverso la città più bassa - Città Bassa [in italiano nel testo, ndr] – ma dopo poco entriamo nelle antiche mura difensive: siamo in Città Alta – “alta” è un tratto veramente distintivo qui. La piccola Fiat Punto si arrampica pazientemente lungo le strette strade con meno di venti centimetri di spazio su entrambi i lati. Non ci sono quasi macchine, poiché soltanto i residenti possono guidare qui. La mancanza di macchine, gli attraversamenti pedonali e il carattere non turistico ti fanno sentire come se fossi portato indietro in tempi molti antichi, quando Bergamo è stata per la prima volta menzionata nel 12° secolo a.C. – il nostro autista ce lo comunica con orgoglio, anche se persino senza la sua piccola lezione avremmo capito quanto è antica la città.
Un hotel o una galleria?
Soggiorniamo al Gombit Hotel, che giustamente appartiene ai Design Hotels. Siedo timidamente su una sedia di metallo rosso scuro vicino al banco della reception, non del tutto sicuro di non avere profanato un’opera d’arte con il mio didietro. Siamo in un hotel, ma anche in una galleria d’arte: libri attaccati al soffitto, un sassofono lucente che pende dal muro medievale non stuccato, un grande quadro contemporaneo dal soggetto indecifrabile dipinto sul lino nella sala da pranzo – tutto ciò dà l’impressione che in questo hotel non sei soltanto un residente, ma anche un visitatore. Le stanze sono chic: ogni stanza è differente, nonostante sia chiaramente disegnata secondo lo stesso stile. Noi stiamo nella stanza Zen: grigioverde, spaziosa, con spesse travi di legno antico che sostengono il soffitto, e un bagno dotato di una vasca più simile a una piccola piscina. La finestra dà sulle mura antiche e c’è il suono delle campane nell’aria.
Una cena aristocratica
Già alla nostra prima cena andiamo al Ristorante Da Mimmo, che ci è stato raccomandato. Situato in una casa storica, come se qui esistesse qualcosa di diverso, saliamo una stretta scala verso il piano superiore. Siamo sopraffatti dal brusio delle conversazioni e dall’odore del cibo, del vino e delle candele. Dei dieci tavoli, nove sono occupati e uno è riservato. Sui tavoli puoi sentire i dialoghi in italiano, il che significa che a un tavolo di cinque persone, tre di loro stanno parlando allo stesso tempo. Le candele accese, le lanterne, le tende pesanti, le grandi bottiglie di vino vuote – tutto questo ci fa sentire come se fossimo nella sala da pranzo di un palazzo aristocratico. Vicino a un tavolo nel centro della stanza, un cameriere compie una danza rituale mentre versa del vino in una caraffa, facendolo vorticare e apprezzando il suo aroma. Ora c’è la pasta fatta in casa con melanzane e ricotta, una bistecca di carne locale e una pizza Diavolo! La mattina seguente scendiamo nelle deliziose sale da pranzo del Gombit Hotel per la colazione. I tavoli sono coperti con lino puro e sui muri ci sono decorazioni dalla forma di posate d’argento – tutto questo nei colori di una veste da monaco. Sul tavolo yogurt alla frutta – è la prima volta che l’ho visto in un elegante recipiente di vetro - torte fatte in casa, frutta fresca e caffè italiano per cominciare bene la giornata.
«La più bella piazza» e i dintorni
Trascorriamo la giornata girovagando tra le strade di Città Alta, una delle piazze più antiche in Italia, che Le Corbusier ha definito «la più bella piazza d’Europa». Entriamo nella grandiosa Basilica di Santa Maria Maggiore: con un esterno romanico e un interno barocco. Cerchiamo di salire la torre della città, alta 54 metri e risalente all’11° secolo, ma è chiusa. Ci trasciniamo lungo strade strette, ammirando la bellezza non solo delle mura, ma anche delle vetrine dei negozi. Alla fine scendiamo in Città Bassa con la funicolare, per passeggiare lungo strade completamente diverse, che sono spaziose, con negozi dei grandi marchi, per ammirare ville eleganti che si ergono tra palme e cespugli di forsizia e, infine, per pranzare nel cortile del Ristorante Al Vecchio Tagliere, dove i talenti indubitabili dei suoi cuochi fanno soffrire i camerieri, mentre scivolano tra tavoli ricolmi con uno scintillio di follia nei loro occhi, non completamente in grado di controllare la maledizione dell’abbondanza.
In una casa-hotel
Poiché siamo amanti di boutique hotel [si distinguono per fornire servizi personalizzati, ndr], ci sentivamo in dovere di trovare questo posto: questa sera siamo al Petronella – un hotel in città bassa. Da una strada tranquilla entriamo in una casa antica, dove non c’è niente dell’atmosfera da hotel – ci sentiamo immediatamente a casa, come se fossimo ospiti nella dimora di qualcuno, piuttosto che clienti. Ma se questa è una casa, sai che è una casa insolita, poiché qui niente è per caso. Non ci sono divisioni, così comuni in altri hotel, all’interno di spazi esposti – quelli trattati con cura speciale – e quelli meno visibili, come i corridoi, spesso trascurati. In questo hotel tutto è trattato con cura: non c’è una singola cosa che sarebbe considerata sgradevole alla vista. Ogni stanza è diversa; in ognuna c’è un’opera d’arte ispirata a un dipinto famoso; ogni stanza è luminosa e spaziosa. Ci sono dodici camere; Uta, la manager, che si è presentata come una hotelier, dice che i piani avrebbero permesso un numero maggiore di stanze, ma loro hanno scelto di avere stanze più grandi. Dopo una breve conversazione, sai com’è, in questo hotel-che-non-è-un-hotel, hai la sensazione permanente dell’agio: è stato co-creato da qualcuno che ha a cuore cose del genere, del tipo su quale lato della doccia un asciugamano dovrebbe pendere per essere comodo, o del tipo di teiera che non sgocciola. Gli ospiti se ne vanno con l’impressione di essere stati bene accolti – e vogliono tornare.
Andiamo su
Ma prima di andarcene veramente, facciamo un’altra cosa che sarebbe un peccato trascurare: con un’altra funicolare ci arrampichiamo sulla sommità del colle, sui cui versanti è stata costruita Bergamo. Mangiamo della pizza, mediocre questa volta, in un ristorante vicino all’uscita della funicolare – prova ulteriore che i punti di ristoro posti in luoghi particolarmente attraenti per i turisti sono molto mediocri. Dall’altezza della collina guardiamo la città, di cui Stendhal ha detto: «Il luogo più bello che abbia mai visto». Stiamo guardando la prova che è possibile costruire qualcosa di bellissimo che non rovina il paesaggio.