Se Dante fosse venuto a Bergamo
Il 2015 verrà ricordato, nel mondo letterario, come l’anno di Dante Alighieri, nei 750 anni dalla sua nascita. Il sommo poeta non risulta sia mai transitato per la nostra città, a differenza di Francesco Petrarca che nel 1359 fu ospite, nell’attuale via Sant’Orsola, dell’orafo Vincenzo Capra di San Pancrazio.
Ma proviamo ad immaginare: se Dante fosse passato di qua, quale itinerario avrebbe percorso? In quali luoghi sarebbe transitato e soprattutto cosa avrebbe potuto ammirare, traendone magari anche spunto e suggerimento per la sua Commedia? Ovvero: dell’alzato urbano odierno, quali edifici esistevano al tempo di Dante Alighieri? Basta districare il groviglio di edifici e di stratificazioni che costituiscono Bergamo e posare lo sguardo solamente su quelli la cui esistenza è accertata entro il 1321, anno di morte di Dante.
Immaginiamo quindi di accoglierlo in Piazza Duomo, il cuore civico e sacro della Bergamo medievale, dove ai tempi prospettava ancora il fronte romanico originario del Palazzo della Ragione. Alle spalle, la Torre Civica (Campanone), appollaiata sull'Hospitium Comunis Pergami (il palazzo podestarile medioevale sede oggi del Museo del Cinquecento Veneto) con le sue putride carceri, posta a sentinella anche dell’Isola Episcopali, casa e anticamera del Vescovo. Maestosa la Basilica di Santa Maria, già Maggiore, che abbracciava la piazza e si presentava ancora completa di tutte le sue absidi e absidiole (quella di nord-est fu abbattuta da Bartolomeo Colleoni per far posto alla sua Cappella funebre) e, a fianco, la Cattedrale romanica di San Vincenzo (di cui restano i pilastri cruciformi e gli affreschi dell’iconostasi nel Museo sotterraneo degli Scavi).
Salita la scalinata che porta all’Aula della Curia e superata la policromia degli affreschi alle pareti, nella bifora e sull’arcone centrale su cui era già dipinta l’Annunciazione di Maria, il nostro Dante poteva raggiungere la Piazza Santa Maria, volgendo prima uno sguardo alla chiesetta romanica di Santa Croce risalente al 1007. Imboccata la Via Arena per scalare la Via San Salvatore, in lontananza si potevano scorgere i resti dell’antico anfiteatro romano, lambire con lo sguardo le murature esterne del Convento di Santa Grata ad columnellis, con ancora le colonnette a vista e gli affreschi, e retrocedere fino alla Torre dei Migliavacca (Casa Angelini).
Quasi al termine della salita si poteva intravedere l’antica chiesetta di San Biagio (distrutta) e più sopra faceva capolino quella di San Salvatore, mentre, giunti in Piazza Cittadella, i possedimenti dei La Crotta (a cui è stato intitolato il parco pubblico) inglobavano anche la Torre di Adalberto fin quasi alle due Porte del Pantano (due rispetto all’unica superstite). Colle Aperto era ancora delimitato dalla Porta di Sant’Alessandro ed entrambi attraversati dall’arteria di Borgo Canale, che allora proseguiva ancora in Via Arena (sarà tranciata dalla Cittadella Viscontea nel 1355). Oltre il varco, degna di nota era sicuramente la rimpianta Basilica di S. Alessandro (distrutta l’1 agosto 1561), completa di canonica e di chiesetta di San Pietro, su cui vigilavano la chiesa e il castello di San Vigilio.
Rientrati per Via Boccola, avremmo consigliato al nostro illustre ospite una sosta, per refrigerarsi all’antica Fontana del Vagine o della Boccola, a scelta, a fianco sia della Casa del Boia che delle mura medioevali (i cui avanzi si possono scorgere lungo la Via Vagine), su cui poggiavano le case e la chiesa dell’Ordine degli Umiliati (ex Convento del Carmine), magari intenti proprio in quel momento a follare i panni nelle acque per infeltrirli e renderli caldi e impermeabili.
Ripreso il cammino, tra via Tassis e via Rivola, un fugace sguardo alle chiese di San Matteo e di San Michele all’Arco, fino a giungere alla Porta turrita di San Lorenzo (ne resta un attacco d’arco di fronte la salitella della mensa universitaria). Da lì, in salita, verso la Torre di Gombito, proprietà della famiglia Zoppo, per svoltare fino in Piazza Mercato del Fieno e giungere, lungo le cortine delle minacciose case torri dei Suardi, all’ombra dei tre chiostri del Convento di San Francesco con ancora la chiesa eretta.
Dopo la salitella di via Solata e la Fontana di S. Eufemia, si giungeva in quella che oggi è via Rocca, in direzione di Piazza Mercato delle Scarpe: da qui, ruotando lo sguardo in senso orario, la Domus Calegariorum (Consorzio dei Calzolai e poi dei Macellai), la Fontana di San Rocco, lungo l’attuale Via Porta Dipinta la Porta Picta e diverse chiese (Sant’Andrea, San Michele de Pluteo Alboe Sant’Agostino alla Fara), la Casa Suardi con il balconcino e il ritratto di Guidino Suardi e poi tanta confusione distribuita tra i portici con botteghe, mercati, banchi e bancarelle con gli abitanti mescolati a pellegrini, monaci, passanti e acquirenti da ogni dove.
Verso via Gromo (Via Gaetano Donizetti) ecco scorgere la Fontana del Gromo e il Palazzo Rivola con l’antica Zecca, mentre in lontananza la chiesa di San Cassiano (Piazzetta Eustochio Verzeri), l’ospedaletto di San Vincenzo, la Casa dei Giudici e la sede dei magazzini della MIA (Vicolo Terzi). In via Gombito invece, così come sulla Corsarola, dalla chiesa di San Pancrazio si poteva avvertire il tintinnio degli strumenti da cesello degli orafi, i cui laboratori si trovavano lungo la via omonima (Via San Pancrazio), e si poteva far insinuare l’occhio curioso tra portali e caseggiati alti massimo due piani con corti interne, orti e giardini, fino a raggiungere la via delle Beccarie (Via Mario Lupo), la Domus Mercatorum e la ghiacciaia.
Ma ora invertiamo le parti: e se volessimo noi incontrare il nostro Dante Alighieri? Dove? Qui, proprio a Bergamo, ci sarà pure il modo? Ebbene si, noi ve lo sveliamo! Provate ad andare in via Gombito, all’altezza del Civico 26bc, e con un po’ di sforzo rintracciate al primo piano dell’edificio tra le finestre a destra una larva policroma d’affresco, che ritrae proprio lui, Dante, mentre intrattiene alcuni uomini sullo sfondo di architetture medioevali e di un piccolo colle. Forse era all'inizio del suo viaggio?