L'incredibile storia di Eric che pulisce l'ufficio del sindaco
Nell'ufficio del Sindaco di Bergamo, più del mobilio elegante, ad affascinare Eric è il pavimento che “sembra di vetro”, per il modo in cui riluce il marmo colorato. Il suo è un occhio professionale: quando viveva in Ghana faceva il piastrellista e di pavimenti se ne intendeva. Oggi è addetto alla pulizia delle finestre degli uffici comunali per conto di una cooperativa e quando gli viene assegnato il turno del mattino gli capita di lavorare a un passo dalla scrivania del primo cittadino. Negli ultimi quattro anni della sua vita (quelli che lo hanno condotto per puro caso fino a Bergamo) Eric è stato travolto da avvenimenti più grandi di lui, insieme a migliaia di altri uomini e donne con cui ha condiviso notti e giorni, alcuni durissimi. Eppure è difficile sorprenderlo senza che sorrida.
Via da casa, su un bus con gli amici
Quando nel 2010 ha lasciato il suo paese a bordo di un autobus insieme agli amici, la destinazione di Eric, che allora aveva quasi 22 anni, non era l'Europa. “Ho lavorato come piastrellista fino a quando non è iniziato un brutto periodo in Ghana: non c’era niente da fare, non si trovava nessun lavoro. Così siamo partiti, diretti in Libia per cercare un'occupazione. Siamo passati dal Burkina Faso e attraverso il Niger, dove siamo rimasti per due mesi”. Oltre il confine, una tappa nella città libica di Sabha poi l'arrivo a destinazione, Tripoli. Era la fine dell'estate. “Sei mesi dopo il mio arrivo, però, è scoppiata la guerra. È stato bruttissimo, non avevo mai visto le bombe. In città c'erano bande che fermavano e derubavano gli stranieri. Era davvero pericoloso. Di notte non si dormiva per i bombardamenti e anche se le bombe non venivano lanciate vicino a noi, si sentiva un rumore forte. Se si dormiva in case alte, bisognava uscire di corsa perché tutto tremava”.
In fila all'aeroporto e un aereo mai arrivato
Come molti altri Paesi, anche il Ghana ha organizzato voli per recuperare i propri cittadini residenti in Libia: “Il nostro Governo a un certo punto ha inviato aerei per riportare a casa tutti i Ghanesi. Noi abbiamo aspettato in fila all’aeroporto, c’era gente di molte nazionalità, nigeriani, senegalesi, persone del Burkina Faso, ciascuno attendeva gli aiuti dal proprio Paese. Siamo rimasti lì due giorni: per il Ghana sono decollati solo due voli. Poi nessun altro aereo è venuto a prenderci. Alcuni amici sono riusciti a salire, erano arrivati all’aeroporto molto presto, erano in cima alla fila. Io sono arrivato più tardi e, come molti connazionali, sono rimasto lì. In quel momento ho pianto di paura”.
A forza su un barcone, senza bagagli né cibo
“Allora siamo tornati in città. Scappare via, magari fino in Tunisia, era troppo pericoloso”. Eric e gli altri stranieri rimasti nel paese vengono portati dalle autorità libiche in un grande campo, vicino al mare: “Ci hanno fatto salire su un barcone, eravamo 1.024 persone, troppa gente. Ci hanno divisi in due gruppi, donne (qualcuna incinta) e bambini sotto, in una stanza al chiuso, gli uomini sopra, al sole”. Non era un'imbarcazione ufficiale della polizia, nessuno ha pagato nulla, d'altra parte non c'era scelta: bisognava salire, lasciandosi dietro tutto quello che ciascuno aveva portato con sé, abbandonando borse e valigie. “Sentivo che era pericoloso sia salire su quella barca, con così tante persone a bordo, sia restare lì, sotto le bombe. Siamo partiti senza niente, non c'era nulla da mangiare né da bere, hanno distribuito confezioni di acqua solo per i bambini più piccoli. Abbiamo dovuto abbandonare tutti i bagagli in Libia: la polizia non ha voluto che portassimo niente, perché non ci sarebbe stato spazio. Sono partito solo coi vestiti che avevo addosso”.
Il viaggio verso Lampedusa è durato dodici ore, dalle 5 delle mattino alle 5.24 del pomeriggio. Eric si ricorda esattamente il minuto. Fra i suoi ricordi ci sono anche quelli di un uomo che si è sentito male ed è morto e di una donna incinta che ha avuto le doglie (e alla fine verrà portata via in elicottero dalle autorità italiane).
“C’era odore, una puzza forte, eravamo seduti così (si rannicchia e piega le ginocchia, ndr). Tutti avevano un’altra persona fra le gambe, non potevi girarti”. Gli chiediamo come facessero col bagno. Risponde imbarazzato: “Che bagno? Si faceva tutto lì”. Alla fine i passeggeri stretti gli uni agli altri avvistano terra. Dall’isola anche le autorità italiane li intercettano.
Altro che un bicchiere d'acqua
“Quando li abbiamo visti arrivare la gente ha cominciato a muoversi, a urlare di gioia. Col microfono gli italiani ripetevano «calma calma, così è pericoloso». Hanno accostato la loro barca alla nostra, sono saliti e hanno portato via prima i bambini, poi le donne e gli altri”. A quel punto Eric si è sentito mancare, senza più la forza di stare dritto in piedi, è svenuto. “Sono collassato, la polizia mi ha caricato su un’ambulanza e mi ha portato in ospedale. Là mi hanno domandato: «Di cosa hai bisogno?». «Acqua» ho risposto e mi hanno portato un bicchiere, ma io ho chiesto tutta la bottiglia”. Dopo la prima, Eric ricorda di averne bevuta d’un fiato un'altra. “Mi hanno dato una spugna e una salvietta per la doccia, ho cambiato tutti i vestiti, me ne hanno dati di nuovi, scarpe comprese”.
Dopo aver fornito le proprie impronte digitali alla polizia, Eric è entrato nel centro di Lampedusa (“era bello, aveva stanze in muratura per dormire”) dove è rimasto solo un giorno. “La mattina dopo, in bus, ci hanno trasportato in Sicilia, in un grande campo, fatto di tende, un posto davvero brutto, col sole fortissimo”. Dopo un mese di campo, un nuovo trasferimento, verso nord.
In attesa dell’asilo, a ripulire i parchi cittadini
Accolto al Patronato san Vincenzo di Bergamo, Eric ha atteso i tempi necessari per l’ottenimento dell’asilo politico. “Ci davano un biglietto per mangiare e ogni mese 57 euro per le piccole spese”, racconta. L’erogazione di quasi 2 euro al giorno si spiega col fatto che durante i primi sei mesi di attesa della definizione dello status di rifugiato la legge non permette al richiedente asilo di avere un lavoro. “Nel frattempo, svolgevamo un’attività di pulizia delle strade e dei parchi cittadini, ad esempio quello della Malpensata: tutte le mattine, per cinque giorni a settimana, con un compenso di 205 euro al mese. Una volta arrivato il permesso di soggiorno, ci hanno detto di andare”.
Il passato è passato
Da Stezzano, dove condivide un appartamento con un amico, fino a Palafrizzoni ci vogliono venticinque, a volte trenta minuti, in bicicletta. Eric è contento di lavorare per la cooperativa che, qualche settimana fa, ha trasformato il suo contratto a tempo determinato in un posto fisso. Un lusso, di questi tempi. Gli chiediamo se, ripensando a tutto quello che gli è capitato, ripartirebbe dal Ghana, su quell’autobus, verso la Libia: “Partirei. Ho dimenticato tutta la parte brutta del viaggio, non penso più a quelle cose, il passato è passato”.