Treviolo, quegli antichi dipinti che resistono al tempo e all’uomo
«Le vede le pietre del campanile? Se osserva bene, noterà che non sono tutte uguali, ma si distinguono tre parti. La base venne costruita nel 1628, due anni prima della grande peste, quella del Manzoni, di Renzo e Lucia. I lavori si fermarono per molti anni, ripresero nel Settecento e arrivarono fino in cima, ma mancava ancora la cella campanaria che fu costruita alla fine di quel secolo. La statua di San Giorgio, sulla cuspide, venne posata nel 1933». Angelo Pesenti cammina per il suo paese, dove è nato settant’anni fa. Si è appassionato a queste vie e a questi muri al punto da diventare lo storico di Treviolo.
I terribili Anni Sessanta. Ci fa scoprire che la parrocchia di Treviolo possiede anche un «Antiquarium», una sala dietro la chiesa, dove sono custoditi dipinti antichi. Fra gli altri anche lo strappo di un affresco che si trovava sul muro di una casa contadina, in piazza, distrutta negli anni Settanta. Al suo posto ora esiste una casa in cemento armato, con tanto di portici che imitano quelli antichi. C’è anche la sede di una banca. Pesenti ha assistito agli scempi degli Anni Sessanta, ma anche a quelli successivi, quando le case storiche venivano abbattute come birilli, del tutto incuranti che lì fosse passata la vita di generazioni e che quei tessuti murari fatti di pietre squadrate e di borlanti, sassi di fiume, fossero frutto di grande e antica maestria.
Quel che resta del castello. Ma alcuni muri hanno resistito. Si trovano in quello che resta del castello, in piazza, poi in alcune vie del centro storico. Spiega Pesenti: «Io ricordo ancora una parte del fossato che circondava il castello». Adesso lì c’è un grande prato che va in direzione di Albegno, il cui campanile svetta a quattrocento metri da qui. Del castello antico è rimasto soltanto il mastio, la torre interna, ultimo baluardo. I muri presentano la tessitura tipica della fine del Quattrocento e del Cinquecento: cinque-sei file di borlanti interrotte da una linea di mattoncini rossi. Pesenti spiega che il castello è molto più antico, forse dell’undicesimo secolo, ma che venne messo a ferro e fuoco in diverse occasioni. «Le murature più antiche di quello che resta oggi risalgono a quel periodo, tra fine Quattrocento e inizio Cinquecento. Accanto all’ingresso del maniero, altra parte conservata, si trova ancora la fontana, in un’edicola costruita nel Settecento, fino a pochi anni fa si leggeva la data incisa sulla pietra, in alto, ma adesso è quasi scomparsa». Davanti alla fontana e all’antico ingresso del castello, c’è un bel parcheggio. Alcuni muri hanno resistito al tempo e all’uomo.
Com'era il centro una volta. In certe parti il paese conserva un’atmosfera storica. Continua Pesenti: «Questa via si chiamava “Fricchiagombiti”, adesso è la via Roma. Si chiamava “Fricchiagombiti” perché è così stretta che quando passavano i carretti rischiavano di sfregare contro i muri. Adesso è in gran parte disabitata. io sono nato qui, al numero 7, era una casa di operai, muratori. Confinava con altre case che invece erano di contadini, avevano anche le stalle con gli animali». Le parole dei bambini che vociavano per via, delle donne che si salutavano si mescolavano ai muggiti, al canto del gallo, all’abbaiare dei cani. Oggi c’è il silenzio rotto da qualche rara automobile. Il paese si è ingrandito, e di molto, negli ultimi quarant’anni, ma il centro storico si è svuotato. «Nel 1951 i residenti erano quattromila e 571, oggi siamo sui dodicimila. La gente è andata a vivere nelle nuove costruzioni, nelle villette, nei condomini che sono proliferati in quella che era la campagna».
I dipinti sui muri. Alcuni muri resistono come anche alcuni dipinti. Un tempo ce n’erano molti di più. Resiste, per esempio, il San Giorgio che uccide il drago che si trova in via Roma, al numero 35. Dice Pesenti: «È un dipinto dell’Ottocento, la gente di Treviolo è affezionata a questa immagine: San Giorgio è anche il patrono del paese». Sempre in via Roma, sul muro di un’abitazione, si ammira un Bambin Gesù di Praga, dipinto in tempi recenti. Una santella del Seicento venne distrutta e poi allestita di nuovo su un muro di via XXIV Maggio, un tempo contrada Marcassale, probabilmente perché in questa zona si trovava il magazzino del sale. Dice Pesenti: «La mantella è scomparsa, poi è stata sostituita da questa che pure rappresenta una Madonna con il Bambino».
Tutto il territorio bergamasco era costellato di dipinti sacri, popolari. Non bastavano le tante chiese. Sui muri dei paesi, nei viottoli di campagna, venivano dipinte immagini della Madonna, dei Santi, di Gesù. Erano un conforto, erano il luogo di una preghiera. Erano un non sentirsi soli, ma vicini a chi stava lassù e governava il mondo. Era un filo con l’Aldilà. Una quindicina di anni fa, sono stati scoperti degli affreschi sulla volta di un portone del paese, ad opera del restauratore Villa che li ha datati al sedicesimo secolo. Altri dipinti si ammirano nel portone di Villa Zanchi, dimora della fine del Seicento: qui sono dipinti degli stemmi di famiglia. Spiega Pesenti: «Sono dipinti che con ogni probabilità risalgono all’Ottocento. La villa venne costruita nel Seicento dalla famiglia Tomini, poi cambiò proprietà. Il grande giardino di Villa Zanchi venne dato al Comune nel 1980 e divenne un parco pubblico, un polmone verde dove nella bella stagione è possibile respirare».