«Ho visto Antigone: m'ha commosso Riproponiamolo anche nei quartieri»

Mentre guardavo Antigone, nella platea del teatro Sociale, circondato da cinquecento ragazzi delle scuole superiori di Bergamo, pensavo ai nostri quartieri. Pensavo alla Malpensata, a Monterosso, a Campagnola… mi vedevo lo spettacolo recitato lì, fra le case popolari, in una sera della bella stagione, ed ero sicuro che sarebbe piaciuto perché questo allestimento di Antigone è forte, vero, palpitante. Pensavo che sarebbe stato un regalo bellissimo per tanta gente che magari al Donizetti o al Sociale non ci va mai. Avrebbe scoperto quanta bellezza può esserci nel teatro, quanta profondità umana esiste in una tragedia scritta duemila e cinquecento anni fa. Quanto una storia così antica possa parlare ai nostri cuori, di uomini e di donne del Duemila. Fino a commuoverci, a farci capire che una strada esiste, che una verità c’è in questa confusione, in questo guazzabuglio di voci, di opinioni. Oggi che abbiamo i social, in tanti parlano, in tanti disquisiscono sui nostri problemi, anche sui grandi temi. Senza dire niente. Soltanto confondendo le menti deboli. E le menti degli uomini sono deboli. Si fanno condizionare dalle mode, da chi ha la voce più grossa, da chi vince, da chi appare forte. Un imbianchino diventa dittatore e tutti dietro all’imbianchino, anche quando è palesemente pazzo e ordina di sterminare un popolo, causa di tutti i mali. Poi arriva un tizio e dice che i barconi con su i neri vanno lasciati in mare, anche se affondano, e tutti questi esseri umani muoiono, anche i bambini; e in tanti lo applaudono, gli dicono: «bravo!».
Storia nota. La storia di Antigone la conoscono in molti. Ci sono due fratelli, uno è il re di Tebe, l’altro è esiliato. L’esiliato torna, vuole riprendersi la città, fa la guerra e perde. Ma durante la battaglia tutti e due i fratelli muoiono. Creonte, loro zio, diventa re. Ed emana un ordine: il re morto verrà sepolto con tutti gli onori, mentre il cadavere del fratello verrà lasciato all’aperto, preda di cani e uccelli. Chi per pietà si azzardasse a seppellirlo verrebbe giustiziato. Antigone, sorella dei due fratelli morti, si ribella: per i greci del tempo, la cosa più terribile che poteva accadere a un uomo era morire senza sepoltura, perché la sua anima avrebbe vagato per sempre senza pace. Antigone obbedisce alla legge della pietà e dell’amore, alla legge degli dei. E seppellisce il fratello, trasgredendo la legge di Creonte, sfidando la morte.
Splendido allestimento. La legge dell’uomo e la legge di Dio. Il rigore dell’autorità e la pietà, l’amore. L’allestimento di Atir-Teatro Ringhiera è stato bellissimo. Nel Sociale non si sentiva volare una mosca. Gigi Dall’Aglio, il regista, ha curato tempi e ritmi in maniera impeccabile, ha trovato una soluzione ottima per gli interventi del “coro”, la scenografia si è rivelata essenziale, attuale, convincente, a cominciare dal tremendo rumore delle esplosioni. E il finale, rosso sangue, le maschere che trasformano le fisionomie individuali in un volto collettivo, le voci distorte, le parole distillate di un linguaggio contemporaneo, mai banale, degno di esportare la classicità. Una rappresentazione di questo valore meritava di stare in cartellone per più giorni.