Al secondo posto in termini assoluti

Industria, perché Bergamo in Europa è più forte anche dei tedeschi

Industria, perché Bergamo in Europa è più forte anche dei tedeschi
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Si è tenuto in questi giorni il vertice economico tra Italia e Germania, ovvero Renzi-Merkel. Nell’incontro, focalizzato sul delicato tema dei ruoli dei due Paesi nell’economia europea, i due leader hanno discusso in particolare del futuro dell’occupazione e dell’industria. I lievi segnali positivi che giungono da entrambi i fronti hanno fatto dire alla cancelliera che «le imprese tedesche sono ora pronte ad assumere in Italia, si sentono rassicurate e ottimiste». Ma, se da un lato non si può negare il ruolo di leadership che l’industria tedesca ha in Europa, dall’altro emergono dati che suggeriscono come l’Italia in generale – e Bergamo, in particolare - non abbia nulla da invidiare a nessuna potenza internazionale.

Uno studio che fa i complimenti a Bergamo. È in questo contesto, infatti, che si può evidenziare un dato particolarmente significativo. Lo si ricava da uno studio della Fondazione Edison e della Confindustria di Bergamo curato da Marco Fortis (professore dell’Università Cattolica di Milano) e pubblicato dal Sole 24 Ore il 21 gennaio, dove sostiene che il settore industriale italiano, e in particolar modo quello lombardo, è ai vertici in Europa per valore aggiunto prodotto.

 

Brembo

 

Ma c’è di più: la provincia di Bergamo, nonostante sia schiacciata da tempo sotto il giogo della crisi economica, è al secondo posto in termini assoluti nell’intera area euro. Ebbene sì, superando perfino le uber-industrializzate province tedesche. Ai primi tre gradini del podio troviamo infatti due italiane: i cugini bresciani che guidano la classifica con un valore aggiunto complessivo di 10,106 miliardi di euro, secondo dati Eurostat del 2011, e la provincia di Bergamo al secondo posto, con 9,73 miliardi. L’area tedesca di Wolfsburg, patria della Volkswagen, nella quale un abitante su due è occupato nell’industria, è solo terza. Livelli simili sono raggiunti anche da altre 12 aree metropolitane europee, vicine ai 10 miliardi di euro prodotti. Tali città (come Milano, Madrid, Amburgo, Stoccolma, Monaco, Berlino) sono state escluse perché il loro tessuto economico non è basato prevalentemente sull’industria.

Dati positivi, dunque. Il presidente di Confindustria Bergamo, Ercole Galizzi, contattato da numerose testate giornalistiche nei giorni scorsi, ha commentato che «i risultati della ricerca ci riempiono d’orgoglio» . E ha posto l’accento sulla necessità di rinnovamento di alcuni tipi di produzioni dell’industria nostrana: «Dovremmo crescere ancora sull’innovazione, che permette di incrementare il valore aggiunto», ma «le alte posizioni raggiunte a livello italiano nell’esportazione di alcuni prodotti dimostrano come anche in singoli settori sappiamo esprimere eccellenze».

Come funzionava l’indagine, e i suoi risultati. Lo studio ha preso in esame, infatti, oltre 1300 province europee. Tra queste, ne sono state selezionate alcune in base a parametri specifici. Lo scopo? Isolare quelle che è possibile definire “a vocazione industriale”. I criteri? Avere almeno 20mila addetti nell’industria (almeno il 30 percento sull’intera popolazione di lavoratori); avere almeno il 30 percento dell’intero valore aggiunto prodotto derivante dall’industria; avere un valore aggiunto per occupato di almeno 50mila euro.

 

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Ecco così che emergono dal bacino di dati 53 province. E – sorpresa, ma non troppo – l’Italia e la Germania si dividono la quasi totalità della classifica. Con una sola eccezione: una provincia polacca. Non compaiono francesi, inglesi, spagnoli, olandesi. Non solo: tra i primi dieci classificati 6 province sono italiane (Brescia, Bergamo, Vicenza, Monza e Brianza, Treviso e Modena), 4 tedesche (Wolfsburg, Böblingen, Ingolstadt, Ludwigshafen am Rhein).

Prendiamo in esame i dati. Il primo criterio considerato è il valore aggiunto industriale, calcolato in termini assoluti. Si intende la capacità di generare un “plusvalore”, partendo dalle materie prime e dal costo dei servizi necessari alla produzione (compresa la manodopera), nell’ottenimento dei prodotti finiti. Maggiore è la differenza tra i costi sostenuti per produrre un bene e il valore del bene prodotto e maggiore è il valore aggiunto creato. I primi dieci posti della classifica sono selezionati in base a questo criterio, ritenuto il più importante.

Il secondo parametro è quello della percentuale di valore aggiunto dell’industria, in proporzione rispetto al valore creato dagli altri settori economici degli ecosistemi locali. In questo campo, la Germania spadroneggia: alcune province sono altamente specializzate nel settore industriale e manifatturiero, e attraverso di esso sostentano la propria economia. Basti pensare alla già citata Wolfsburg, che raggiunge percentuali del 73,2% % (rispetto al totale del valore aggiunto prodotto). Lo stesso si può dire di Ingolstadt e Ludwigshafen (sede del colosso della chimica Basf), con oltre il 67%, e di Böblingen, con il 50%. Da questo punto di vista, le italiane seguono con percentuali più modeste, che si aggirano attorno al 30%.

 

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Se guardiamo, invece, agli occupati in termini assoluti, le province italiane dominano la classifica. Bergamo è al terzo posto, con 156 mila unità, preceduta solo da Brescia e Vicenza e seguita da Treviso, Modena, Monza-Brianza.

Viene preso in considerazione anche il numero di occupati nell’industria in percentuale sulla popolazione totale. In questo caso la musica cambia: la Germania è in testa, con le aree di Wolfsburg, Dingolfing-Landau, Markischer-Kreis. La nostra provincia si piazza in decima posizione, con il 34,3% degli occupati (più di uno su tre).

Da questo dato discendono alcune considerazioni, evidenziate dai promotori della ricerca stessa. In particolare, si nota che il valore aggiunto pro capite è nettamente più alto nelle province tedesche. Si va dai 168mila euro per lavoratore di Ingolstadt ai 159mila di Ludwigshafen, ai 155 mila di Wolsfburg. Prima delle italiane Monza-Brianza, solo quindicesima, con 65mila euro per ogni occupato. Bergamo si posiziona al diciassettesimo posto, in contrasto con gli alti piazzamenti ottenuti negli altri parametri, con 62mila euro. Si tratta di un dato che, a volerlo leggere nella giusta ottica, non può far dormire sonni troppo tranquilli. Nonostante il successo raggiunto dalla provincia orobica, infatti, è evidente che l’industria italiana è specializzata in produzioni dal basso valore aggiunto pro-capite. Simili produzioni sono poco innovative, poco specializzate, dunque facili vittime della concorrenza e facili prede della crisi.

Confortanti i dati sulle esportazioni e, in ottica di lungo termine, la crescita registrata dal settore dal 1991 ad oggi. I risultati parlano chiaro: Bergamo ha registrato, negli ultimi vent’anni, un grande aumento dell’export, che è quadruplicato dal ’91 al 2011 permettendo alla provincia di raggiungere il quinto posto tra le italiane e di superare Firenze, Modena e Varese. Anche i dati del 2014 fanno ben sperare: nei primi 9 mesi le esportazioni sono cresciute del 4,7 % a 10,2 miliardi e, di queste, 9,95 miliardi sono riferite al manifatturiero. I settori più forti? Bergamo è seconda nella chimica, quarta nella gomma-plastica e prodotti non metalliferi, quinta negli apparecchi elettrici, nella meccanica non elettronica e nella metallurgia, sesta nei prodotti in carta e legno, nona nei mezzi di trasporto.

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