Ad Albino

Metti un piatto da Nasturzio Abbinamenti audaci e di talento

Metti un piatto da Nasturzio Abbinamenti audaci e di talento
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Tutti i progetti ambiziosi vanno incoraggiati, soprattutto quando sono capitanati da un gruppo di ragazzi giovani e con qualche asso nella manica interessante da giocarsi. Certo aprire ad Albino, fuori dalla città, è forse un po’ in controtendenza, ma il luogo scelto, una sala panoramica in un palazzo storico dell’antico complesso carmelitano, con tanto di vista privilegiata sulla vallata, ha un peso che non si può trascurare. Si aggiunga il fatto che il trio che guida questo nuovo ristorante Nasturzio, in via Ripa 2, è una squadra affiatata già conosciuta dai palati bergamaschi, sia da quelli che sono sempre alla ricerca di nuove esperienze per il loro sabato sera a cena, sia per gli amanti della birra artigianale. È stato così che a pochi giorni dall’apertura la novità è riuscita ad attrarre vecchi e nuovi clienti.

 

 

Abbinamenti difficili e riusciti, e un rischio. L’esperienza al tavolo si può sintetizzare nel riconoscimento di uno spiccato talento per gli abbinamenti, non ancora totale, è chiaro, ma capita in più di un piatto di rimanere affascinati dalla combinazione di ingredienti che incastra i sapori alla perfezione. Chi prenderà il menù degustazione (35 euro per 4 portata più entrée, predessert e dolce) se ne accorgerà subito fin dal primo piatto: il Pesce di lago marinato con cavolfiore, caramello e prugne è un inizio sorprendente quanto eloquente. Scegliendo alla carta c’è un piatto che salta subito in evidenza e che impone la sua supremazia, si intitola L’astice si fa in due. Polpa di crostaceo e sedanorapa. Alla lecita domanda sullo sdoppiamento accennato, la risposta è servita subito dopo l’ultimo boccone sotto forma di polpa di chela leggermente affumicata. Due polpe, due preparazioni, metà crostaceo.

 

 

Il menù è semplice, formato da quattro proposte per portata e non ha un vero e proprio tema a fondamento ma esplora il singolo piatto spaziando dal pesce nobile a quello d’acqua dolce, dalle animelle all’agnello, virando di tanto in tanto sulla tradizione locale imprescindibile fatta di Scarpinocc e Polenta e coniglio. Di per sé tutto ciò sarebbe un disastro identitario se non fosse che da Nasturzio se lo possono permettere, già, perché si concentrano sulla singola costruzione trascendendo in modo giustificato la necessità di una superficiale coerenza. Il rischio a questo punto è di sfiorare, quando si perdono le redini, l’intellualismo: fenomeno che in cucina prende la forma di un compiacimento autoreferenziale.

Rincuorante poi trovare dei dolci che siano realmente tali, senza troppe elucubrazioni vegetali e contrasti acido-piccanti. Una scelta, anche questa volta, quasi in controtendenza rispetto alla pasticceria creativa che cerca e contamina e non si accontenta di se stessa. E la creme brulée con more e gelato, nella sua schiettezza, è il migliore dei finali.

 

 

Qualche appunto, dalla sala al futuro. C’è però un appunto che non può essere trascurato, soprattutto quando si percepisce nell’aria la grande energia di chi vuole fare le cose per bene. Il servizio di sala, nonostante l’impegno sincero dei protagonisti, non si può definire esattamente in linea con il livello della cucina. Uno squilibrio che purtroppo si nota, saltando agli occhi anche a un osservatore poco attento. Ma dopotutto siamo agli inizi.

La terrazza estiva ristabilisce un po’ di ordine nelle misure, con la bella vista sul panorama aperto. Al netto di tutte le considerazioni, è un’esperienza positiva e consigliata, sicuramente da ripetere più volte per seguirne l’evoluzione, certi che difficilmente riusciremo ad annoiarci a questa tavola. Le nuove iniziative sono sempre da incoraggiare, soprattutto quando in mezzo ci si mettono tre ragazzi appassionati del loro mestiere. Non a tutti forse piacerà questo stile, è lecito, ma bisogna riconoscere loro il merito di avere contribuito all’ampliamento delle proposta orobica.

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