L'attacco degli Stati Uniti in Siria che cambia lo scacchiere mondiale
Con 59 missili Tomahawak sparati la scorsa notte alle 2.30 ora italiana da due navi da guerra situate nel Mediterraneo, Donald Trump ha scompaginato tutte le carte, sia quelle dello scacchiere internazionale, ma anche quelle, che stavano facendosi per lui molto problematiche, dello scacchiere interno. Ha preso la palla al balzo dopo l'ultima disgraziata decisione del presidente siriano Assad per lanciare un segnale a Mosca: gli Stati Uniti non sono più quelli del "pavido" Obama, che era rimasto a guardare anche quando lo stesso Assad aveva commesso un atto ben più grave: un bombardamento con armi chimiche dei sobborghi di Damasco che aveva causato 1400 morti.
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Gli Usa sono tutti con Trump. Si è capito subito che Trump non si sarebbe lasciato sfuggire questa occasione. In questi giorni aveva più volte sottolineato l'aspetto orribile dell'attacco, insistendo sulla sorte dei bambini. Un'abile preparazione mediatica, che ha reso quasi ineccepibile agli occhi di tutti il suo intervento di questa notte. I risultati si sono visti subito: il New York Times, giornale da sempre in guerra con il presidente Usa, ha approvato la scelta è si è schierato per la prima volta con lui. Da Repubblicani e Democratici l'approvazione è unanime. In questo modo Trump ha ripreso le redini della leadership interna, dopo le tante sconfitte di queste ultime settimane.
Il rischio di uno scontro con Putin. Ma, se il neopresidente mette sotto controllo un fronte interno, ne apre uno ben più pericolo esterno. È quello del confronto con la Russia di Putin, la superpotenza con cui sin qui aveva flirtato e che si era schierata apertamente dalla sua parte (con mezzi leciti e anche no...) in occasione della campagna elettorale del 2016. Putin ha parlato subito, senza mezzi termini, di «aggressione» verso uno Stato sovrano e fa capire che le relazioni con gli Usa subiranno un pesante contraccolpo.
L'occhiolino alla Cina. Per di più l'attacco è avvenuto proprio alla vigilia del summit in Florida tra Trump e il presidente cinese Xi Jinping. Un vertice molto importante, perché non solo riguarda le due superpotenze economiche mondiali, ma soprattutto perché la Cina era stata considerata dal presidente americano come la vera nemica degli Stati Uniti a livello di strategie economiche. Gli stop agli accordi commerciali e il nuovo protezionismo americano erano atti di ostilità nei confronti di una potenza che invece grazie alla globalizzazione ha visto crescere in modo esponenziale il proprio Pil. Putin contava di avere in Trump un alleato contro Pechino e invece rischia di trovarsi isolato.
Un vero voltafaccia. Perché questa giravolta del presidente Usa? Un esperto come il generale Carlo Jean ha cercato di dare una spiegazione: «I russi si trovano in grosse difficoltà anche per un motivo economico, non hanno i mezzi per competere con la corsa al riarmo degli americani o sostenere un intervento militare in Medio Oriente. Insomma, Trump cerca di sfangarsela da solo per non avere debiti con Putin, si direbbe». Gli Stati Uniti hanno deciso di sostenere le grandi nazioni del blocco sunnita, cosa vogliano fare concretamente non si riesce a capire, ha spiegato sempre Jean. E sul tavolo rimane anche l'annosa questione della Corea del Nord.