La nuova vita del punto esclamativo
Punto? Macché. Meglio un bel punto esclamativo. Anzi due. Anzi una bella fila tenendo schiacciato il tasto. È il suo momento: se su tutti gli altri segni di interpunzione navigano in pessime acque, o dimenticati o usati a sproposito, il punto esclamativo sta vivendo una stagione di ridondanti successi. Basta sbarcare su Facebook per rendersene conto. Ogni messaggio è un buon pretesto per questa accensione finale che pur nella sua essenzialità grafica regge la concorrenza degli emoticon.
Una nuova vita. Il fenomeno ha assunto dimensioni tali da indurre un linguista a scriverci un saggio, uscito in questi giorni. Si intitola La solitudine del punto esclamativo ed è di Massimo Arcangeli. «L’ho titolato così perché mi sembra l'unico segno di interpunzione che goda di buona salute. Lo mettono dappertutto. Del resto nella comunicazione online alcuni di questi segni stanno cambiando significato. Faccio un esempio personale. Scrivendo un messaggio a una mia amica l'ho chiuso con un punto. Cosa che abitualmente non faccio. Lei mi ha chiesto se ero arrabbiato. Io le ho spiegato che no, non lo ero e non capivo perché lei lo pensasse. Lei mi ha spiegato che quel punto messo lì alla fine del messaggio le era sembrato un segnale del fatto che fossi seccato». L’amica evidentemente si aspettava invece un bel punto esclamativo, o piuttosto niente (abbiamo trattato la questione qui).
Punto ammirativo. Dice la Treccani che il punto esclamativo in origine si chiamava “punto ammirativo”, ed è composto, come ben sappiamo, da un punto in basso e da un trattino verticale soprascritto. È una marca “d’intonazione” «in quanto serve principalmente a dare istruzioni riguardo all’intonazione che deve assumere l’esecuzione orale di un enunciato». Romani e greci neanche lo conoscevano. Le prime apparizioni risalgono a testi del Cinquecento italiano, ma in forte concorrenza con il punto interrogativo, con il quale ha sempre conteso spazi in pagina.
Amanti illustri dell'esclamativo. Tant’è vero che lo stesso Manzoni nelle sue varie riscritture dei Promessi Sposi aveva spesso cambiato un punto interrogativo in un punto ammirativo e viceversa. Ma alla fine la spunta proprio l’esclamativo. Prova ne sia che nel Fermo e Lucia (la prima versione del romanzo) lo si trova 111 volte, nei Promessi Sposi ben 163. E molti concentrati in una delle pagine più celebri, quella della conversione dell’Innominato.
Manzoni non è il solo ad amare l’esclamativo. Anton Cechov scrisse addirittura un racconto in cui lo aveva messo nel titolo. Protagonista un impiegato della burocrazia accusato di non saper usare la punteggiatura. In una notte da incubo ricevette la visita di alcuni spettri, i quali altro non erano che segni di interpunzione: li riconosce tutti, tranne uno, il punto esclamativo. In quarant’anni di onorata carriera, infatti, non ne aveva mai incontrato uno.
Stop it! Tornando all’oggi, il problema dell’abuso del punto esclamativo sta mettendo all’erta anche le autorità. Lo scorso anno il ministero dell’Istruzione britannico aveva indirizzato agli studenti inglesi proponeva un vademecum salva-grammatica. «Stop with exclamation mark!» si dichiarava in quel testo. Peccato che nell’auspicarne un uso più modico gli estensori del vademecum ne abbiano fatto uso. Non ci si libera così facilmente dal punto esclamativo.