L'artista bergamasco

Coter ha ricominciato la sua guerra

Coter ha ricominciato la sua guerra
Pubblicato:

Alla fine degli Anni Sessanta, Ernesto Coter, dopo avere dichiarato guerra all’umanità, colpevole di crimini inenarrabili, di scelleratezze, stragi, devastazioni naturali, decise di lasciare la lotta e di andare a portare la sua visione dell’arte e della vita alle isole Samoa. Via dalla civiltà, da questa civiltà occidentale. Come se si potesse. Come se non ci trovassimo nell’era della comunicazione immediata. Giornali, radio, televisione, telefoni, Internet. Ernesto Coter oggi parla in questo ufficio di Bergamopost, quasi cinquant’anni dopo la Dichiarazione di guerra all’umanità, il volume-manifesto di arte e poesia realizzato con il fratello Francesco e con il poeta Gian Pietro Fazion, una denuncia delle sofferenze degli individui in una compagine sociale che non riesce a promuoverne l’umanità, anzi.

coter 01
Foto 1 di 4
coter 02
Foto 2 di 4
coter 03
Foto 3 di 4
coter 04
Foto 4 di 4

Il ricordo delle isole Samoa. Coter è nato ottantuno anni fa a Vertova, figlio di quel Costante Coter che è stato tra i maggiori scultori bergamaschi del Novecento, amico di D’Annunzio e di Antonio Locatelli, che vide il giovanissimo Manzù entrare nella bottega di falegname dei Manzoni di via Ermete Novelli, a Bergamo. Dice Ernesto: «Sono tornato dalle Samoa, vivo qui questa parte della mia vita, l’anzianità. Non tornerò in quelle isole meravigliose anche perché mia moglie Maria è morta lo scorso anno e la vita per me non è più la stessa. Ma l’esperienza della vita in quelle isole non potrò mai dimenticarla, come si fa? Mi vengono in mente le notti fuori dalla nostra casetta, il suono del mare e tutto quel buio. Quando alzavo la testa vedevo grappoli di stelle e la Via Lattea che sembrava un pulviscolo bianco, come zucchero a velo». L’incanto della natura delle Samoa, Coter lo ha riportato nei suoi dipinti che hanno preso una venatura romantica, antica. Natura dolce, natura forte, selvaggia. La luce che travalica la forma e richiama le opere dell’ultimo Turner, il grande pittore inglese. Un’ispirazione che lo ha seguito anche quando è tornato in Italia e si è stabilito sul lago Maggiore, a Soriano.

Giorgio Della Vite, fotografo. Oggi Coter ha tuttavia ripreso il discorso avviato mezzo secolo fa, quella critica all’arte e alla società, e ha realizzato in questi mesi un nuovo libro sulla base delle fotografie scattate negli anni Sessanta sul tema d e l l’ombra. Con lui collabora il fotografo Giorgio Della Vite, 66 anni, ex insegnante al Liceo artistico di Bergamo. Dice Giorgio: «Conosco i fratelli Coter da quando ero un ragazzino, avevo quindici-sedici anni, ma seguivo affascinato la loro opera, anche il loro discorso sociale e politico. Conoscevo i Coter, anche loro padre Costante, perché mio nonno materno, Giacomo Piccinini, aveva affrescato la chiesa di Semonte, luogo di origine della loro famiglia. A Semonte, l’incontro del nonno artista con i Coter fu inevitabile». Giorgio ha ereditato l’arte della fotografia dal padre Rinaldo Della Vite, che fu un ottimo fotografo dilettante, vincitore di diversi premi internazionali. L’Eco di Bergamo lo inviò in Terra Santa in occasione dello storico viaggio di papa Paolo VI.

 

Giorgio Della Vite con Trento Longaretti

 

Il libro. Continua Della Vite: «Loro, i Coter, erano gli artisti ribelli, quelli che già allora si scagliavano contro lo scempio della natura, contro l’inquinamento. Io li seguivo. E quando Ernesto è tornato, io gli ho chiesto di riprendere quel discorso e così è nato questo nuovo libro, dove si lavora sulle immagini, sulla grafica, la fotografia e le parole. Il tema principale è quello delle ombre che ci seguono, che segnano un confine tra giorno e notte e ci inducono a pensare che cosa ci sia oltre la notte; un tema che si intreccia con quello della natura, della forma che muta nel tempo. E che nelle mie foto ho cercato di mostrare». Il volume è stato stampato in sole trenta copie. Alla fine del libro viene offerta anche una riflessione del critico Luciano Valle. Anche in questo caso è presente l’invito alla “non azione” come forma di resistenza, di opposizione verso una realtà riconosciuta come negativa, violenta.

Le immagini fotografiche giocano con l’effetto grafico, per esempio nel bianco e nero dei giochi dell’ombra sulla pietra. Ombra umana, ombra di mani, ombra di albero sull’erba... La carta scelta per la stampa è pesante e ruvida, nulla di patinato. Ricorda il carattere della tradizione bergamasca, rozza e sincera, che si sta perdendo, che sta affogando nell’omologazione ipocrita del linguaggio infarcito di inglesismi, nei rapporti filiali con i cani, con gli abiti sempre firmati e le automobili costose. Che sta affogando nelle relazioni virtuali che non conoscono né il profumo, né il sudore. Un libro ruvido, che cerca l’onestà, anche la provocazione. E la bellezza?

 

Ernesto Coter

 

La bellezza. Dice Ernesto Coter: «Io e mio fratello eravamo pittori apprezzati nella Bergamo degli Anni Sessanta, ma a noi tante cose non stavano bene, l’accademia, le convenzioni, le ipocrisie, le contraddizioni. Ci scontrammo con la Bergamo che contava, ma non solo con Bergamo, con tutto il sistema nazionale. Scrivemmo la Dichiarazione e poi sentimmo quel bisogno di andarcene. Io raggiunsi le Samoa, mio fratello andò in Nepal, in Tibet. Io alle Samoa ci sono stato trent’anni, lui invece dall’Himalaia tornò molto tempo prima. Il discorso della bellezza accademica non ci trovava per niente d’accordo. Adesso quando penso alla bellezza penso a un senso di armonia e di emozione, penso che la bellezza superiore sia un fatto del tutto interiore e in quanto tale penso che sia universale». Un pezzo del cuore di Ernesto Coter sta ancora sulle isole del Pacifico. Il ritorno è stato dettato anche dalle condizioni di salute della moglie Maria. «Ho lasciato là la mia scuola, i miei allievi, quella natura. La mia scuola per fortuna va avanti grazie agli ex allievi».

Oggi Coter lavora, realizza piccole sculture, dice: «Mi sembra che davvero la vita sia come un cerchio. Faccio queste piccole sculture e mi ricordo quando le modellava mio papà e io ero giovanissimo nel suo studio e lo osservavo. Poi io e mio fratello siamo andati in accademia Carrara, con il maestro Trento Longaretti, ma ci annoiavamo, d’altro canto avevamo già fatto tanta esperienza in bottega. Ce ne siamo andati. Nei confronti di Longaretti è rimasta sempre e comunque una profonda stima». Insieme a Della Vite, Coter sta pensando a una mostra che parta da questo nuovo libro, da questa nuova presa di posizione. Dice Della Vite: «Una mostra basata su queste fotografie interpretate graficamente, ma che arricchiremo di altri elementi, in cui coinvolgeremo altri artisti, penso allo scenografo Pier Luigi Piantanida, allo scultore Carlo Previtali». Ma il sogno sarebbe riuscire a coinvolgere anche il fratello di Ernesto, Francesco, pittore profondamente apprezzato, ma che da decenni non espone le sue opere. Soltanto di recente ha rotto il silenzio con una lunga intervista proprio a Bergamopost.