Ecco cosa sono diventati i funerali a Bergamo per colpa del Coronavirus
Un articolo pubblicato dal sito diretto da Luca Sofri spiega alla perfezione come sta cambiando il nostro rapporto con la morte a causa di questa drammatica emergenza
Ciò che stiamo vivendo in queste settimane, l'immane tragedia che Bergamo e i bergamaschi stanno vivendo, ci cambierà per sempre. Lo dicono in tanti, in televisione e sui giornali. Ma noi, che qui viviamo e qui soffriamo, lo sappiamo un po' di più. Cambierà, in particolare, il nostro rapporto con la morte. La sua ineluttabilità e, per certi versi, anche la sua sacralità. Perché, volente o nolente, ci siamo immersi a tal punto da dover accettare anche l'abbandono di quei riti che ci permettevano di dire addio a coloro che se ne vanno. L'estrema unzione, l'ultimo saluto, la cerimonia funebre. Tutto questo cancellato dal Coronavirus, dallo tsunami che ci ha travolti. Una tragedia che Il Post ha provato a ricostruire in un bellissimo e approfondito articolo che abbiamo deciso di riproporvi perché in grado di spiegare come questa emergenza ci stia cambiando anche nel rapporto con la morte.
A Bergamo i corpi delle persone morte di COVID-19 non vengono più vestiti, dopo il decesso. Le norme sanitarie – emanate dall’ATS locale ormai diverse settimane fa – raccomandano alle imprese di onoranze funebri di chiudere le salme dentro a una “sacca di contenimento”, nudi o con il camice o i vestiti indossati nel momento della morte, per poi sigillare immediatamente la bara. In alternativa, per avvolgere i corpi, viene usato un lenzuolo imbevuto di disinfettante.
Nella provincia italiana più colpita dall’epidemia di coronavirus, dove a oggi sono stati registrati ufficialmente quasi 1.200 decessi di persone risultate positive al tampone e sono probabilmente di più, è diventato tristemente normale per i familiari dei morti non vederli più dal momento in cui sono portati via in ambulanza, vivi. Per centinaia di famiglie, a cui è vietato l’accesso ai reparti ospedalieri per gli ovvi rischi di contagio, la bara arriva alla sepoltura già chiusa, e l’ultimo saluto avviene sotto forma di una piccola cerimonia al cimitero, in presenza di poche persone.
A fare da tramite tra gli ospedali e le centinaia di famiglie che hanno sofferto un lutto per via dell’epidemia, in molti casi, ci sono solo le imprese di onoranze funebri, che a Bergamo da almeno due settimane stanno lavorando a ritmi estenuanti e in condizioni sanitarie precarie per garantire qualche pur minima forma di ritualità funeraria. «Non c’è niente che non sia triste, e noi siamo delle spugne in questa situazione», ha detto al Post Vanda Piccioli, che ha un’impresa di onoranze funebri ad Alzano Lombardo, piccolo comune qualche chilometro a nord di Bergamo, tra i più colpiti dall’epidemia.
L’impresa di Piccioli non ha il personale per accettare tutte le richieste che riceve, e deve rifiutarne diverse ogni giorno. La sua non è un’eccezione. Antonio Ricciardi è a capo di una società che raggruppa alcune decine di imprese di pompe funebri della provincia di Bergamo: se normalmente si occupano di poco più di 100 funerali al mese, soltanto nelle prime tre settimane di marzo ne hanno organizzati circa 900. I suoi dipendenti lavorano dalle 12 alle 13 ore al giorno, dice.
«Il lavoro di onoranza funebre oggi non è più onoranza», spiega Ricciardi. «Ormai si onorano le salme attraverso piccoli gesti, c’è chi chiede di recuperare un anello, chi chiede di fare una fotografia alla bara se possibile, per vedere il volto del caro defunto». Per chi sceglie la sepoltura nella terra o in un loculo, nel giro di pochi giorni si riesce a organizzare una breve cerimonia al cimitero, nella quale il prete legge un passo del Vangelo, lo commenta e poi dà la benedizione, in presenza di pochi familiari stretti.
Per varie ragioni, in parte anche sanitarie, la maggior parte delle famiglie dei morti per COVID-19 sta scegliendo la cremazione. Ma l’unico forno di Bergamo, di proprietà privata e annesso al cimitero, non riesce a gestire l’enorme afflusso di salme, pur lavorando in questi giorni a ciclo continuo: ha una capacità di poco più di venti salme al giorno. È il motivo per cui il comune ha chiesto all’esercito di trasportare ai forni di altre città decine di bare, che erano state sistemate nell’attesa in alcune camere mortuarie comunali. Il primo viaggio della decina di camionette militari cariche di bare è stato fotografato in una delle immagini più rappresentative della crisi attraversata dal sistema sanitario lombardo.