I giorni maledetti all’ospedale di Alzano: «Il virus era nella camera di fronte, mia madre e gli altri son tutti morti»
Lettera di un figlio alla madre, morta per Coronavirus al nosocomio seriano: «Ti ho visto per pochi minuti dopo il decesso, ho stampato nei miei occhi il tuo viso stanco. Eri l’immagine del dolore»
di Giambattista Gherardi
Con venerdì 3 aprile siamo arrivati in Italia alla soglia dei 120.000 casi complessivi e a quasi 15.000 decessi. Dati ufficiali della Protezione Civile, molto probabilmente ampiamente approssimati per difetto, soprattutto per quello che riguarda la Lombardia e la provincia di Bergamo in particolare. Come il nostro giornale ha più volte riportato, tutti continuano a interrogarsi sull’anomala esplosione dell’epidemia in Val Seriana al punto da farne probabilmente l’epicentro a livello mondiale per concentrazione di casi e decessi.
Se non è il momento delle polemiche politiche pretestuose e, ancor più, dei narcisismi giornalistici autoreferenziali, è il caso di soffermarsi su molte testimonianze dirette che affiorano sui social e che mettono sempre più a fuoco la tragica escalation che a febbraio ha visto moltiplicarsi i contagi dentro e attorno all’Ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo.
A tal proposito riportiamo integralmente la testimonianza pubblicata oggi su Facebook (sul gruppo "Noi denunceremo") da Ezio Limonta, figlio di una degente del nosocomio seriano a partire dai giorni precedenti a quel tragico 23 febbraio in cui l’ospedale, dopo aver riscontrato i primi casi positivi, fu prima chiuso e successivamente riaperto. È la lettera straziante che l’uomo indirizza alla madre, ripresasi da una iniziale calcolosi, ma morta per Covid-19.
«Cara mamma,
Il 13 febbraio ti ho accompagnato contro la tua volontà al pronto soccorso dell’ospedale di Alzano Lombardo, perché avevi problemi di calcolosi. Abbiamo passato tutto il giorno al triage perché non sapevano cosa fare con te, se ricoverarti o dimetterti. Alla fine il chirurgo che ti ha visitato ha confermato il ricovero e alle 19 sei salita in medicina al terzo piano. Quale decisione scellerata.
La prima settimana ti vedevo contenta i dolori erano scomparsi e non vedevo l’ora di riportarti a casa. Avevo notato che da qualche giorno tossivi e ricordo che della cosa ne parlasti al medico.
Giovedì 20 la tua tosse era peggiorata, bronchite fu il responso del medico e per peggiorare le cose l’insorgere di una disfagia che in poche ore divenne sempre più grave, non riuscivi più a deglutire.
Nonostante queste problematiche lo stesso giorno il medico mi informò che il problema della calcolosi era risolto e che ti avrebbero dimessa sabato 22 o lunedì 24 febbraio e ti avremmo curato a casa.
Ricordo la tua felicità quando te lo dissi l’idea di tornare a casa e guarire ti rese felice. Noi nel frattempo ci eravamo già organizzati e avevamo coinvolto tutti gli enti per poterti assistere al meglio nella tua casa.
Nei miei vari spostamenti sul piano notai che nella camera di fronte, occupata da tre uomini, c’era un signore con uno strano cilindro in testa pieno di tubi (un respiratore) che lo aiutava a respirare.
Venerdì 21, tu cominci a peggiorare ti lamenti che non riesci a respirare che ti brucia la gola e nessuno faceva qualcosa.
Sabato 22 alle 8.00 notai che il personale sul piano portava la mascherina e alla mia domanda del perché un’infermiera mi rispose che aveva una famiglia a casa e che si doveva proteggere e la cosa mi lascio alquanto sorpreso.
La tua situazione peggiora e la sera mi chiedesti di rimanere a farti compagnia perché avevi paura a rimanere da sola. Ti ricordi quando mi stringevi la mano quando aprivi gli occhi e mi vedevi al tuo fianco e mi chiedevi di bagnanti le labbra o di darti un po’ di acqua gel perché avevi la gola arsa. Che notte ho passato, non sono rimasto un minuto seduto, tu che continuamente tossivi e mi dicevi che avevi la gola arsa che non riuscivi a respirare. Le infermiere tutta la notte impegnate nella stanza di fronte dal signore con il respiratore anzi con i signori che avevano il respiratore perché da uno erano diventati due, in un continuo via vai.
Ho passato la notte al tuo capezzale nei vani tentativi di aiutarti a respirare e poi la domenica mattina quando mio fratello mi ha raggiunto ti ho salutato con la promessa che sarei ritornato la sera per farti compagnia la notte. Mamma quella notte ho pianto nel vederti in quel letto di dolore indifesa, con quelli occhi azzurri un po’ spenti che mi guardavano, che mi dicevi grazie ogni volta che mi chiedevi qualcosa. Anche nel dolore sempre un messaggio di gratitudine.
Lo so cara mamma tu non ti lamentavi mai, hai sempre fatto finta di niente hai sempre sopportato il dolore in silenzio, ma quella notte veramente hai sofferto tantissimo te lo leggevo negli occhi e il tuo dolore mi aveva portato anche a discutere al mattino con il medico di guardia perché non riusciva a capire il grado della tua sofferenza.
Ti ho lasciato in buone mani quella domenica mattina, c’era mio fratello che ti accudiva; in tarda mattinata dopo le mie rimostranze del mattino sono passati a farti la radiografia. Dopo le 12.00 è successo il finimondo, l’Ospedale è stato chiuso per caso di Covit19 e cara mamma era esattamente sul tuo piano nella camera di fronte. Mi chiedo da quanti giorni fosse ricoverato quel signore e perché nessuno ci ha mai informato del rischio che correvamo quando venivamo in ospedale ad accudirvi e mi chiedo anche perché nessuno ha mai pensato a voi poveri ammalati che senza protezioni siete stati tutti contagiati dal virus.
Mio fratello dopo essere stato trattenuto fuori dal reparto è stato allontanato come tutti i parenti nel pomeriggio e da allora non ci è più stato permesso di contattarti o di vederti. Sai quante chiamate sempre gentili ed educate ho fatto al centralino dell’ospedale per farmi passare il reparto per sapere come stavi sempre tutte senza risposta.
Lunedì 24 alle 8.00 eravamo li dietro la porta di Medicina al terzo piano in attesa che uscisse o entrasse qualche infermiere che ormai ci erano familiari per avere tue notizie e ci hanno detto che eri stabile. Lo stesso abbiamo fatto martedì 25 alle 8.00 eravamo sempre li dietro la porta e il responso fu sempre stabile, tranquilla, serena, ma il reparto è sigillato non si può entrare.
Cara mamma eravamo lì a pochi metri da te ma non potevamo vederti ne parlarti e purtroppo è successo quello che tu non avresti mai voluto che accadesse, ti abbiamo lasciato morire da sola ti abbiamo abbandonato per ben tre giorni mentre tu andavi incontro alla morte avvenuta la notte del 25/26 febbraio e come te nei giorni successivi tutte le persone che stavano nella tua camera sono decedute.
Non voglio e non posso immaginare cosa hai provato in quei giorni dove nessuno ti ha più rinfrescato la gola, bagnato le labbra o ti ha tenuto la mano e ti ha rassicurato con la sua presenza. Eri sola e abbandonata nella tua sofferenza.
Ti ho visto per pochi minuti quella notte dopo il decesso, ho sempre stampato nei miei occhi il tuo viso stanco, consumato, eri l’immagine del dolore. Mi consola che in tutta questa follia martedì sera sono riuscito a contattare il cappellano dell’ospedale don Daniele che su mia richiesta ti ha impartito l’unzione degli infermi. Ecco mamma questa è unica cosa che sono riuscito a fare e so che tu ci tenevi tanto.
Ci hanno restituito la tua salma solo il 28 febbraio e siamo riusciti a celebrare i tuoi funerali in forma privata il 2 marzo con una cerimonia intima in una chiesa dove oltre a noi c’erano delle suore che hanno accompagnato la funzione religiosa con canti.
In quei giorni fui informato che eri positiva al tampone e quindi anche per noi sono scattate le quarantene. Sono convinto cara mamma che già da subito ti sei attivata per proteggerci dal cielo, perché nonostante la sovra esposizione avuta quando stavamo con te in quel maledetto reparto noi stiamo tutti bene.
Cara mamma pensavo di vivere un incubo come se fossi stato in un film dell’orrore del quale non riuscivo a vedere la fine e purtroppo non è ancora finito vedo con dolore cosa sta succedendo a tantissime persone che a causa di questo maledetto virus come te non hanno il conforto dei parenti, di un prete o di una funzione religiosa.
Mamma ti ringrazio per tutto quello che hai fatto per me, ti chiedo perdono per non essere riuscito a darti il supporto e l’aiuto che ti meritavi negli ultimi giorni della tua vita.
Proteggici tutti dal cielo, un abbraccio».