Fontana risponde al premier Conte sulla non imposizione della zona rossa in Val Seriana
Il presidente del Consiglio aveva dichiarato che il governatore avrebbe potuto prevedere da solo misure più stringenti, ma il numero uno lombardo dice che non avrebbe potuto controllare il territorio
Non si ferma il rimbalzo di responsabilità riguardante la mancata imposizione di una zona rossa nella bassa Val Seriana, una "non decisione" che ha portato purtroppo al dilagare dell'epidemia di Coronavirus nella nostra provincia e alle tragiche conseguenze che tutti ben conosciamo e dobbiamo, purtroppo, ancora oggi sopportare.
Due giorni fa (2 aprile), il premier Conte in un'intervista a Il Fatto Quotidiano, su precisa domanda ha prima aggirato la questione affermando di aver preferito imporre misure più restrittive su tutto il territorio lombardo (la cosiddetta "zona arancione", decisamente meno stringente della zona rossa imposta nel Lodigiano e che si richiedeva anche per Alzano e Nembro) e ha poi invece detto che, se avesse voluto, Regione Lombardia avrebbe potuto prevedere misure più restrittive per quel territorio, «lo hanno fatto anche Lazio e Calabria».
Nella consueta conferenza stampa mattutina dell'Istituto Superiore di Sanità del 3 aprile, il presidente Silvio Brusaferro e Gianni Rezza, direttore del dipartimento di Malattie infettive dell’Iss, hanno poi rimarcato ciò che ormai è risaputo, ovvero che l'Iss, il 2 marzo e poi il 5 marzo, aveva caldamente raccomandato l'imposizione di una zona rossa in bassa Val Seriana. «Noi abbiamo fatto le nostre considerazioni, lavorato con dei dati, abbiamo poi condiviso delle raccomandazioni, dopodiché il governo ha deciso per lockdown sempre più stretti e in pochi giorni l’Italia è stata chiusa. Noi lavoriamo in maniera autonoma e in scienza e coscienza», ha risposto Brusaferro a precisa domanda. Più chiaro Rezza: «C’è stata la proposta di fare zona rossa anche i comuni vicino Bergamo, poi si è deciso di rendere zona arancione l’Italia intera. Da allora non sono fatte più zone rosse e sono ripartite ordinanze regionali come in Lazio, Calabria e Campania».
In questo rimpallo di responsabilità politiche, oggi (4 aprile) è arrivata anche la dichiarazione del governatore lombardo Attilio Fontana sul punto. Intervistato da La Verità, Fontana ha ricostruito quei giorni di inizio marzo e ha rimarcato ancora una volta come lui non potesse fare nulla: «Quando hanno detto no alla chiusura dei Comuni della Bergamasca non ho perso la pazienza perché sembrava che volessero la zona rossa per tutta la regione. Il provvedimento che il Governo stava per prendere andava verso quella direzione. C’è stato un sì-no, sì-no per due o tre giorni, poi si è deciso per la zona arancione in tutta la Lombardia. Io non potevo fare la zona rossa perché non ho la competenza, ma anche se avessi fatto un provvedimento ai limiti della legittimità, come lo facevo eseguire? Non ho a disposizione polizia, esercito e carabinieri per far rispettare una zona rossa così vasta. Oltretutto sono stato colto di sorpresa. Ero convinto che quella sera sarebbe stata disposta la zona rossa perché mi arrivavano telefonate dal territorio, c’erano molti militari che alloggiavano negli alberghi lì attorno quindi ero praticamente convinto che ci sarebbe stato il provvedimento. Forse erano lì per quello, ma poi qualcuno ha dato disposizioni diverse».