Com'è andato il vertice a Bergamo del premier Conte. «Tamponi a tappeto? Ci sono vincoli oggettivi»
Nella tarda serata di lunedì 27 aprile, il presidente del Consiglio ha incontrato, a Bergamo, il sindaco Gori e i vertici della sanità bergamasca. Ecco cosa è stato detto
di Federico Rota
È durato poco più di un'ora il vertice in prefettura a Bergamo tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il prefetto Enrico Ricci, il sindaco Giorgio Gori e alcuni rappresentanti della sanità bergamasca.
Conte, arrivato alle 23, ha lasciato via Tasso alle 00.30, dopo aver incontrato per primo il sindaco, che ha sottoposto principalmente i temi di un reddito di emergenza a sostegno delle fasce sociali deboli, maggiormente colpite dal punto di vista economico, quello dei genitori che dovranno rientrare al lavoro e quello delle mascherine. Quindi, il premier ha incontrato Massimo Giupponi, direttore generale di Ats Bergamo, Maria Beatrice Stasi, direttore dell’Asst Papa Giovanni XXIII, Fabio Pezzoli, direttore sanitario dell’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo, e Simonetta Cesa, direttrice della direzione delle Professioni sanitarie e sociali del Papa Giovanni.
«È stato un incontro dove c’è stata la possibilità di illustrare quelle che possono essere alcune linee per il futuro - ha spiegato a margine dell'incontro la dottoressa Stasi -. Abbiamo rappresentato la nostra preoccupazione, chiedendo anche che le aperture siano ragionevoli e vengano attuate con massima prudenza. Finché non avremo una cura o un vaccino dovremo adottare misure di responsabilità verso se stessi e gli altri. A Bergamo c’è stata certamente un’ondata diversa da quella che si è registrata nel resto d’Italia: abbiamo avuto oltre diecimila positivi in provincia, pari a cinque volte i casi di regioni intere come Campania e Puglia, o tre volte rispetto al Lazio. Ragioniamo di una realtà di necessità e di guerra diversa dalle altre e anche la lettura dei fenomeni deve essere diversa».
Nel merito di attuare una strategia di tamponi a tappeto, il direttore generale del Papa Giovanni è chiara. «Non credo che possa essere la scelta vincente, anche perché ci sono vincoli oggettivi legati ad apparecchiature, disponibilità di reagenti e personale. Può avvenire anche che una persona faccia il tampone e si positivizzi il giorno successivo. Dobbiamo essere noi le prime sentinelle di noi stessi e comportarci in modo responsabile». Tra le richieste sottoposte al presidente del consiglio, anche quella che il Governo ragioni «non solo sul rifinanziamento del servizio sanitario, ma anche sulle scuole di specialità, per avere a disposizione più medici. Abbiamo fatto fatica a trovare sostituzioni».
A oltre due mesi dallo scoppio dell’epidemia, i numeri in ospedale sono però in miglioramento. Attualmente al Papa Giovanni sono ricoverati circa duecento pazienti Covid. «Numeri minori, ma di tutto rispetto - conclude Maria Beatrice Srasi -. Stiamo lavorando alla nuova programmazione, sui percorsi separati per i pazienti, a come contingentare gli accessi agli ambulatori e su come gestire i punti prelievo per evitare assembramenti».