L'attacco al Bergamo Sex di don Gianpaolo Carrara, il prete che difende le prostitute
Il sacerdote si scaglia contro l'organizzazione della kermesse dell'eros: «Macché festival erotico. Una celebrazione assurda del piacere in mezzo a tanto dolore»
«Macché festival erotico. Una vera bolgia del sesso». Il BergamoSex quest’anno ha suscitato, come era facile prevedere, una vera e propria levata di scudi generale. Diverse persone hanno stigmatizzato l’evento, sottolineandone soprattutto l’inopportunità alla luce dei numerosi lutti che hanno colpito la nostra provincia.
Del fronte dei contrari fa parte anche don Gianpaolo Carrara, noto per aver fatto della lotta al fenomeno della prostituzione una caratteristica della propria missione attraverso la fondazione Gedama onlus. Il sacerdote quale ha scritto una dura critica all’organizzazione della festa erotica, paragonandola ad una delle dieci fosse dell’inferno di Dante.
L’evento è andato in scena, come da tradizione, al Bolgia di Osio Sopra dal 28 al 30 agosto, nonostante le numerose perplessità legate al controllo delle misure anti-Covid. «Una celebrazione assurda del piacere in mezzo a tanto grande e profondo dolore vissuto e ancora presente nel cuore di tanta gente bergamasca per il Covid-19 – si legge nella lettera inviata sabato 29 agosto alle forze dell’ordine e alla Prefettura -. Uno spettacolo porno che comunque, anche in tempi normali, attacca sfacciatamente la bellezza e la dignità dell’essere uomo e dell’essere donna. L’uomo e la donna, anche nella loro dimensione corporea, sono orientati alla relazione, anche alla comunione estatica dell’incontro di alta comunione, bellissimo, appagante e non per far del proprio corpo merce, spettacolo ed esibizione».
La mercificazione della donna al centro dei cartelloni pubblicitari della kermesse era stata duramente attaccata anche da una decina di architetti bergamaschi, che con una nota si erano rivolti a Comune e Provincia di Bergamo chiedendone la rimozione. Secondo don Carrara il BergamoSex è «un insulto e un’imperdonabile dimenticanza» verso tutte le donne che fuori dalla discoteca e su strade della Bergamasca «sono costrette da organizzazioni mafiose e criminali a vendere il proprio corpo a clienti irresponsabili e spesso gravemente malati di sesso a pagamento». Una considerazione che, necessariamente, si intreccia anche con la riflessione rispetto al messaggio che i giovani ricevono dopo essere incappati sui manifesti pubblicati sui social network, o affissi lungo le strade cittadine.
«In una società come la nostra tutto è possibile? – si domanda, infine, il sacerdote -. O dobbiamo dedicarci tutti a costruire e generare una società buona, che cerca il bene comune di tutti, che esalta e promuove la bellezza dell’uomo e della donna e di tutto il creato. I a mét indòe la mascherina? La mascherina la dovremmo decisamente mettere tutti, ognuno segnato dalle responsabilità e autorità che gli competono su eventi come questi, quest’anno e per gli anni a venire».