Anche Remuzzi critica il Dpcm: «Non sono sicuro serva, dobbiamo proteggere i più fragili»
Il direttore dell'Istituto Mario Negri: «La malattia si trasmette soprattutto tra le mura domestiche, non in bar e ristoranti. Farli chiudere alle 18 è un lockdown non esplicitato. La situazione è molto diversa da marzo, per ora. Noi scienziati non siamo divisi, solo sappiamo ancora troppo poco di questo virus»
Lascia molte perplessità il Dpcm firmato dal premier Conte domenica 25 ottobre, che prevede la chiusura delle attività di ristorazione e dei locali alle 18. Oltre a scatenare la comprensibile rabbia degli imprenditori di settore (scesi in piazza anche a Bergamo), diversi esperti hanno espresso perplessità circa la misura, ritenendola non efficace nell'opera di contenimento dei contagi. Tra questi, si è aggiunto anche Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri.
Remuzzi, che in questi mesi si è sempre contraddistinto per i suoi giudizi sempre molto chiari ma mai trancianti sul virus, in un'intervista rilasciata a Libero nei giorni scorsi ha detto: «Non sono sicuro che ci sia un rapporto tra provvedimenti più o meno light e diffusione dell'infezione - ha detto Remuzzi -. I provvedimenti dovrebbero essere indirizzati a proteggere i più fragili, persone sopra i 70 anni specie se con altre patologie (cosa che aveva già detto anche a noi di PrimaBergamo la scorsa settimana, ndr), e a scoraggiare comportamenti che oggi sappiamo essere fonti di contagio. C'è un dato appena pubblicato su Science: la malattia si trasmette soprattutto tra le mura domestiche, dove si è comunque vicini l'uno all'altro, la trasmissione si riduce man mano che aumenta lo spazio tra gli individui e il rischio relativo di contagio in comunità come ristoranti e supermercati non è ancora stato stabilito con certezza».
Il ricercatore bergamasco ha poi aggiunto: «Questo virus non si propaga né con l'acqua né con gli alimenti; se tutti imparassero a prendere le precauzioni giuste - distanziamento, mascherina e il lavarsi le mani - tutto questo basterebbe per evitare la stragrande maggioranza delle infezioni. Può darsi però che i provvedimenti presi dal Governo siano una forma di lockdown fatta senza esplicitarlo, se non si può fare nulla nessuno esce di casa. Chissà, forse chiudere alle 18 serve per aiutare la gente a prestare attenzione a ciò che ciascuno può fare per proteggersi e per proteggere gli altri. È importante comunque non dimenticare che chiudere tutto dalle 18 penalizza categorie di lavoratori che devono pur poter vivere. "Attenzione a non fare che i rimedi siano peggio del male", scrivono i medici belgi in un documento recente. Condivido. Se poi le misure prese in questi giorni serviranno davvero a fermare l'epidemia lo vedremo tra 15-20 giorni e sarebbe una gran cosa».
Remuzzi, nella stessa intervista, spiega poi perché la situazione che stiamo vivendo oggi non è minimamente paragonabile a quella del marzo scorso: «Le differenze stanno nei numeri. A marzo venivano effettuati pochi tamponi ma c'erano tanti infetti e quasi 33.000 malati in ospedale. Oggi si è superata anche la soglia dei 180mila tamponi giornalieri e abbiamo 13mila persone in ospedale. Se poi consideriamo i ricoveri in terapia intensiva, si va dai quasi 4.000 del 3 aprile ai 435 di fine maggio per risalire e arrivare ai 1.284 ricoveri di lunedì. Teniamo presente, come ho sempre detto anche in passato, che questa analisi si riferisce al momento in cui sto parlando, le cose fra due settimane potrebbero cambiare completamente».
Infine, un interessante appunto sulla questione degli asintomatici: «Ci sono asintomatici che non diffondono il virus, e altri che ne diffondono moltissimo. La variabilità della diffusione dell' infezione da una persona all'altra è impressionante. La letteratura più recente dice che il venti per cento delle infezioni è causato dal due per cento delle persone, ma c' è anche un altro fenomeno che si chiama "overdispersion" ed è stato descritto dai ricercatori di Baltimora in uno studio pubblicato su Science tre giorni fa, secondo il quale esiste un grande numero di persone che non trasmette il virus a nessuno mentre il dieci per cento di infetti è responsabile dell'ottanta per cento dei contagi. Insomma, si tratta di una materia estremamente complessa, nessuno degli studi in questo campo può ritenersi definitivo. Si sente dire che gli scienziati sono divisi, la verità è che quello che non sappiamo è così tanto che è impossibile avere le idee chiare».