Lockdown a Bergamo, aumentano i tentativi di suicidio tra i minorenni
La neuropsichiatra Patrizia Stoppa dell'ospedale Papa Giovanni denuncia l'aumento dei casi a seguito dei lockdown e delle severe misure anti-Covid: tra loro anche dodicenni
Molto si è parlato nell'ultimo anno di contagi, morti e varianti del virus. Poco o per niente di quei fenomeni gravi legati alle misure anti-Covid più severe, come i lockdown o la chiusura di scuole e attività economiche. Non sono comunque mancate in questi mesi le denunce di alcuni esperti riguardo i danni psicologici che queste restrizioni, nel tentativo di proteggerci, hanno purtroppo causato e continuano a causare. In diversi casi ciò ha portato a suicidi e tentativi di suicidio.
Anche nei mesi scorsi le cronache avevano riportato alcuni episodi, come quello di gennaio nel territorio della Bassa, dove un ristoratore di 77 anni, in gravi difficoltà economiche, ha prima telefonato ai carabinieri di Romano di Lombardia affermando di volersi suicidare, per poi compiere il gesto. Oppure la denuncia a inizio settembre 2020 della redazione di Prima La Val Camonica, che aveva visto incrementare le notizie su persone che si erano tolte la vita o avevano cercato di farlo.
Oggi in un'articolo del Corriere di Bergamo la responsabile del reparto di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza all’ospedale Papa Giovanni XXIII, Patrizia Stoppa, lancia un nuovo preoccupante allarme: nel 2020 gli episodi tra i minorenni hanno superato di un terzo quelli del 2019, e solo nel gennaio 2021 è stata raggiunta la metà dei casi dell'anno scorso. Si tratta secondo la neuropsichiatra di un «trend particolare, sicuramente in aumento», negli ultimi sei mesi ci sono stati più di 20 casi. I tentativi di togliersi la vita sono stati preceduti da frequenti attacchi di panico e da uno stato d'ansia permanente nei soggetti, numerosi residenti nelle valli, così duramente colpite dal Covid nella fase iniziale dell'epidemia. A Bergamo i dati relativamente ai ragazzi fanno preoccupare anche per l'età di alcuni soggetti: addirittura dodicenni. Gli esperti del Papa Giovanni hanno poi appurato come tra questi ci sia stata, per troppi giovani, la reale intenzione di porre fine alla propria vita.
Il responsabile del dipartimento di Salute mentale e delle dipendenze, Emi Bondi, sottolinea come la chiusura delle scuole e l'impossibilità di fare sport e uscire con gli amici sia stato determinante nell'aumentare i disagi psichici tra la popolazione giovane: «Lo stare con gli altri in quell’età è estremamente importante proprio per quel processo di differenziazione che deve portare da un punto di vista psichico a diventare adulti e autonomi. C’è poi l’inizio dell’affettività. Tutto questo si è notevolmente ridotto nei periodi di lockdown, perché i ragazzi sono chiusi all’interno delle famiglie, quasi in una forma di regressione».
Del resto anche il noto psichiatra Paolo Crepet, nel corso del convegno al Senato intitolato «Covid e lockdown, gli effetti collaterali sulla psiche dei bambini e dei giovani» del 24 febbraio scorso, aveva espresso le sue preoccupazioni in tal senso: «Credo che molti si siano sentiti soli in questi mesi di lockdown e chiusure, così è stato per i bambini, ma anche per i genitori e gli insegnanti». Si era fin da subito espresso duramente sulla didattica a distanza: «I nostri nonni accettavano il rifugio anti-aereo come una situazione transitoria per proteggersi, una volta finiti i bombardamenti si poteva uscire ed andare avanti con la propria vita: noi invece abbiamo creato una sorta di rifugio permanente, la casa, a cui noi ed i nostri figli non eravamo abituati». La didattica a distanza non garantirebbe infatti quella dimensione emozionale ed affettiva che la scuola in presenza invece offriva prima della pandemia.
In passato diversi virologi hanno sostenuto la necessità di imparare a convivere con il Covid, ma sembra che, finora, molti ragazzi abbiano imparato unicamente a convivere con il terrore della malattia e con il disagio che le misure governative comportano.