Medici e infermieri: «La sanità territoriale è un'altra cosa, serve un'azienda a parte»
«Gli ospedali non dispongono né di organizzazione né di risorse per rispondere alle necessità dei paesi», dicono
di Paolo Aresi
Questa è una vicenda strana. Come se in una squadra di calcio si chiedesse al centravanti di fare il centrocampista. Poi ci si accorge che il centravanti fa meno gol. Allora si cambia modulo e si dice al centravanti di fare il difensore. E il centravanti segna ancora meno gol. La squadra finisce in serie B. È la vicenda della nostra sanità lombarda. La riforma Maroni ha messo gli ospedali a servire il territorio, ed è andata male, lo abbiamo visto in maniera clamorosa con l’epidemia di Covid. La riforma Moratti non cambia schema, anzi, carica ulteriormente di impegni gli ospedali riguardo al territorio. Istituisce per esempio le Case della comunità e gli Ospedali di comunità e tutto dipenderà dall’ospedale di riferimento, Asst (Azienda sociosanitaria territoriale). Nel nostro caso, il Papa Giovanni. Tutta Bergamo è contraria a questa scelta, politici e medici compresi.
Romina Zanotti è un’infermiera domiciliare, ogni giorno percorre la Val Seriana, conosce le esigenze del territorio in maniera profonda. Ai tempi del Covid non ha mai fatto un passo indietro, anche quando non c’erano né guanti né mascherine. Spiega: «Dico la verità, quando sento che certi servizi passeranno agli ospedali, mi spavento. Perché gli ospedali, che sia Seriate o il Papa Giovanni, non dispongono dell’organizzazione e delle risorse per rispondere alle necessità del territorio. Occorrono risorse umane e strategie intelligenti per rispondere alle necessità del territorio; ma serve anche un cambiamento culturale. Cerco di spiegarmi: chi lavora in ospedale ha una logica di un certo tipo, abituata a considerare il malato acuto, l’emergenza. È un certo tipo di cura. Sul territorio c’è invece più bisogno di assistenza, di lungo periodo, di medicazione, di ascolto... Abbiamo visto con le Asst già esistenti che gli ospedali fanno fatica a seguire il territorio. La nuova legge prevede articolazioni ancora più complesse, per esempio distretti più grossi che saranno sede di consultori, centri vaccinazioni, servizio di protesica, ausilii diversi come la fornitura di ossigeno, l’ufficio per l’invalidità, l’assistenza domiciliare, il servizio di igiene (sicurezza sul lavoro, ispettori, vigilanza relativa a sanità e sicurezza degli ambienti di lavoro), servizio veterinaria...».
Romina è piuttosto perplessa riguardo alla riforma attuale. E poi aggiunge: «Ma il vero problema della sanità è la divisione tra medici ospedalieri, dipendenti, e medici di base, che sono liberi professionisti. Questo è un problema nazionale e non si vedono soluzioni, forse a piccoli passi arriveremo a un equilibrio».
Lasciamo il territorio ed entriamo in ospedale. Qui le bocche sono cucite, soffia un’aria non buona. Tutti hanno la stessa idea: il Papa Giovanni deve diventare Azienda Ospedaliera e il territorio va governato e assistito da un’azienda a parte. L’Ats? L’ospedale di Seriate? Un’azienda nuova? Le soluzioni possono essere diverse. Ma la parola d’ordine è: l’ospedale deve fare l’ospedale, cioè deve gestire le fasi acute delle malattie, che siano tumori, infarti o appendiciti. Le altre questioni devono venire affrontate sul territorio. Benissimo gli ospedali di comunità e le case della comunità, ma ci vuole anche un ente di gestione. Le bocche sono cucite. Trapela che i primari dei dipartimenti hanno fatto pressione sul direttore generale, Beatrice Stasi, ma che il direttore generale, per ora, non ha fatto quello che tutti chiedono: la famosa domanda alla Regione perché il Papa Giovanni venga riconosciuto Azienda Ospedaliera. Quindi gli acuti, quindi le cure specialistiche di alto livello, quindi la ricerca, quindi i trapianti... e non il controllo della qualità igienica delle mense scolastiche.
Perché Beatrice Stasi non ha fatto ancora la domanda? Perché dalla Regione le è stato fatto sapere che tale istanza non sarebbe gradita. E i direttori generali sono nominati proprio dalla Regione... In Regione temono che l’esempio di Bergamo possa venire seguito dagli Spedali Civili di Brescia, dal Sant’Anna di Como e da altri milanesi, con il rischio che l’impianto della riforma possa andare in crisi. Attualmente, soltanto Niguarda è stato riconosciuto nella riforma come Azienda Ospedaliera (Ao) e non Azienda sociosanitaria territoriale (Asst). (...)