Svuotate le Ats

Cosa sono le Case di Comunità previste dalla riforma regionale e il rischio di favorire i privati

Queste nuove strutture rappresentano uno dei capisaldi della riforma, ma come funzionano? E perché il sistema pubblico rischia di pagare dazio?

Cosa sono le Case di Comunità previste dalla riforma regionale e il rischio di favorire i privati
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di Andrea Rossetti

«Un gigante dai piedi d’argilla»: così è stata definita più volte la sanità lombarda nell’ultimo anno e mezzo, dopo essere stata completamente travolta dalla pandemia Covid. Uno tsunami che ha messo in luce le tante criticità di un sistema invece ritenuto, fino a quel momento, di assoluta eccellenza. In particolare, il coronavirus ha mostrato come, nel tempo, si sia enormemente indebolita la medicina del territorio.

Il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) vede proprio come primo obiettivo un netto cambio di rotta, in tal senso. Con cospicui finanziamenti si vuole (ri)avvicinare la sanità ai cittadini. È in questo quadro che si innesta l’iter di riforma e revisione della legge regionale 23 del 2015 voluto dall’assessore regionale al Welfare Letizia Moratti, avviato a fine maggio scorso e in via di definizione. Appena dieci giorni fa, la Giunta di Regione Lombardia ha approvato il progetto per la realizzazione di Case e Ospedali di Comunità nella città di Milano. Queste nuove strutture rappresentano uno dei capisaldi della riforma.

La riforma e le Case di Comunità

Si parte dal capoluogo meneghino, come detto, ma poi si passerà alle altre province. Tra cui, ovviamente, Bergamo. Il processo, però, non sarà semplice. Anche perché la riforma dovrebbe andare a toccare i rapporti attualmente esistenti tra Ats e Asst. Oggi, in parole semplici, le Ats sono gli enti che regolano la sanità sul territorio, mentre le Asst sono le realtà che erogano i servizi sanitari ai cittadini; con la riforma, alle Asst dovrebbero venire affidate anche diverse competenze attualmente in mano alle Ats. E saranno proprio le Asst a dover organizzare e gestire le Case di Comunità.

Nello specifico, si tratta di centri in cui il cittadino potrà trovare risposta adeguata a un’ampia varietà di esigenze sanitarie o sociosanitarie. Nelle Case di Comunità opereranno team multidisciplinari composti da medici di Medicina generale, pediatri, infermieri di comunità e di famiglia, specialisti, ma anche assistenti sociali. Un ruolo chiave sarà la presenza di poliambulatori e servizi per gestire la cura specializzata e l’assistenza ai malati cronici, ma l’elemento qualificante della nuova struttura sarà la realizzazione di un Punto Unico di Accesso sanitario e sociale in cui il cittadino sarà accompagnato nell’accesso ai servizi della rete territoriale. Ognuna di queste strutture dovrebbe coprire un bacino di circa cinquantamila persone e, la maggior parte, garantire una copertura sette giorni su sette, 24 ore su 24.

L’Asst Papa Giovanni ha presentato diversi progetti che riguardano il territorio di sua competenza e che dovranno trovare collocazione nelle scelte di Ats e di Regione, le quali faranno sintesi tra le varie proposte che stanno arrivando da tutta la provincia e dall’intero territorio regionale.

Il rapporto tra pubblico e privato

La riforma della legge 23 del 2015, però, prevede anche un altro importante punto: una particolare attenzione «al rapporto sussidiario tra strutture pubbliche e private». Com’è noto, proprio il rapporto tra sanità pubblica e sanità privata è, da sempre ma soprattutto da dopo lo scoppio della pandemia, al centro di un grande dibattito. Da un lato, c’è chi lo ritiene il cardine su cui il servizio sanitario lombardo ha costruito la propria eccellenza, pur con alcune criticità (come le sempre più lunghe attese); da un altro, invece, c’è chi lo ritiene una pericolosa stortura che sta trasformando la sanità in un business. In tal senso, la riforma prende nettamente posizione nella prima fazione. La sanità privata, infatti, ne uscirebbe ulteriormente rafforzata.

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