Caso Yara, inchiesta sul dna di "Ignoto 1": indagato anche un giudice di Bergamo
Sul caso indaga la procura di Venezia dopo una denuncia della difesa di Bossetti. Indagata anche la responsabile dell’ufficio corpi di reato
La battaglia giudiziaria attorno al processo per l’omicidio di Yara Gambirasio, per il quale è stato condannato all’ergastolo Massimo Bossetti, si arricchisce di un ulteriore capitolo.
Il Corriere della Sera ha svelato un’inchiesta della procura di Venezia, che starebbe indagando sullo stato di conservazione della traccia genetica di “Ignoto 1”, individuata su slip e leggings della vittima e attribuita al muratore di Mapello, che si è però sempre professato innocente. Da quanto riferito, risulterebbero iscritti nel registro degli indagati il presidente della prima sezione penale del tribunale di Bergamo, Giovanni Petillo, e la responsabile dell’ufficio corpi di reato, Laura Epis. L’ipotesi è di frode in processo e depistaggio.
Nell’inchiesta della procura veneziana, competente per i magistrati bergamaschi, che sarebbe vicina alla conclusione, al momento non sarebbero emersi elementi che proverebbero un comportamento doloso. Un quadro che, se confermato, porterebbe la procura a chiedere l’archiviazione del fascicolo.
L’indagine attualmente in corso sarebbe scaturita da una denuncia presentata dai legali di Massimo Bossetti, intenzionati a far riaprire il caso per chiedere una revisione del processo, per capire lo stato di conservazione dei campioni di materiale genetico. Il timore della difesa è che i reperti possano essersi alterati, compromettendo la possibilità di effettuare su di essi ulteriori analisi.
Attorno alla prova regina, gli avvocati difensori di Bossetti, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, hanno sempre avanzato dubbi, chiedendo più volte di poter effettuare una perizia sui reperti di Dna. Istanze, che sono state respinte. Stando a quanto sostenuto da Claudio Salvagni, l’Assise di Appello di Brescia avrebbe rigettato la richiesta di perizia sostenendo che «non vi sono più campioni di materiale genetico in misura idonea a consentire nuove amplificazioni e tipizzazioni».
«Occorre però tenere presente – specifica Salvagni in un post pubblicato su Facebook - che, durante il processo di primo grado, lo stesso consulente dell’accusa, professor Giorgio Casari, a precisa domanda sull’esistenza di campioni da analizzare, così, sotto giuramento, ha risposto: “Avendo preso incarico tutti i Dna, che abbiamo ancora in San Raffaele, quindi ovviamente questi sono a disposizione, li abbiamo ancora tutti, non abbiamo finito nessuna aliquota. Quindi tutto quello che noi abbiamo usato negli stessi tubi c’è ancora materiale per ulteriori indagini volendo”. Delle due l’una: o c’erano ancora campioni come affermava Casari in primo grado o erano esauriti come affermato dall’Appello per non concedere la perizia».