i funerali

L’addio di Treviglio a Luigi Casati: «Gesto criminale che ha ferito anche l'intera città»

L'uomo, 61 anni, è stato ucciso da quattro colpi di pistola esplosi dalla vicina di casa, Silvana Erzembergher, di 71 anni, ora in carcere

L’addio di Treviglio a Luigi Casati: «Gesto criminale che ha ferito anche l'intera città»
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C’era tutta Treviglio oggi (4 maggio) a dire addio a Luigi Casati, 61 anni, freddato con quattro colpi di pistola giovedì scorso dalla vicina di casa, Silvana Erzembergher, 71 anni, in carcere con l’accusa di omicidio volontario e tentato omicidio per aver sparato anche alla moglie di Casati, Monica Leoni, ancora ricoverata in ospedale ma fortunatamente fuori pericolo.

La chiesa di San Pietro, nella zona nord di Treviglio, era gremita, tanto che alcune persone, ancora incredule per quanto accaduto, sono dovute rimanere all’esterno. In prima fila, come riportano i colleghi di PrimaTreviglio, il figlio della vittima, Emanuele.

«Il gesto criminale che ha ucciso Luigi e che ha colpito gravemente Monica, ha ferito anche l’intera città – ha detto durante l’omelia il parroco, monsignor Norberto Donghi -. Chi fa il male non lo fa solo verso una persona, ma verso tutti. Il Papa, sabato scorso nell’incontro con i trevigliesi, ci diceva a proposito della guerra: “Essa non solo distrugge il popolo sconfitto, distrugge anche il vincitore; distrugge anche coloro che la guardano. La guerra distrugge tutti”. E quel che vale per la guerra vale anche per la tragedia che stiamo vivendo. Il gesto criminale che ha ucciso è un dolore e una sconfitta per tutti. Un’esperienza così drammatica non può, non deve passare senza insegnarci qualcosa. Se da questa esperienza di dolore ciascuno di noi decidesse di essere più attento, più capace di dominare il proprio istinto, sarebbe una gran cosa».

«Tutti possiamo e dobbiamo cambiare - continua il parroco -. Nei nostri rapporti personali, torniamo a vigilare su noi stessi, a buttare via le ripicche, le frasi e gli atteggiamenti taglienti, i silenzi che fanno male. Soprattutto nelle nostre famiglie ritorniamo ad imparare l’arte d’amare, di convivere con i nostri difetti e con quelli degli altri, l’arte del perdono. Da alcuni decenni, nella nostra cultura si sta inoculando un veleno di morte, ci abituano a pensare che la vita, a certe condizioni, non sia più un valore. Anche chi ha colpito pensava che togliere la vita fosse una soluzione. Ai suoi occhi l’unica soluzione. Non può essere così, la vita vale sempre anche quando ti presenta un conto difficile da pagare. C'è sempre una speranza e una via d’uscita. Quando ti sembra di non farcela da solo, guardati intorno. Cerca una via d’uscita nei tuoi amici. In chi ti vuol bene».

«Impariamo ad essere un po’ più attenti gli uni degli altri – ha concluso il monsignor Donghi -. Impariamo ad alzare lo sguardo su coloro che il Signore ci ha messo accanto. A guardare i nostri famigliari, i nostri amici e parenti, i nostri vicini di casa con più serietà. Abbiamo una responsabilità gli uni verso gli altri, siamo chiamati a saper scorgere quei segnali che chi è nel disagio manda. A ciascuno di noi compete preparare un terreno perché l’esperienza di questi giorni non la riviviamo mai più. Oggi, tornando a casa, dobbiamo decidere di togliere la spina a tutto ciò che cova arroganza, prepotenza e forse anche già violenza nelle nostre case».

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