Villa Gargana a Boccaleone, un gioiello di Bergamo che quasi nessuno conosce
Costruita nel Seicento, custodisce affreschi mirabili e una grande storia d'amore. Le proprietà espropriate e il Palazzo Frizzoni regalato
di Paolo Aresi
È un pezzetto di paradiso, eppure a Bergamo la conoscono in pochi, perché è nascosta in via Rovelli, in una zona dove hanno trovato casa il campo nomadi, la Fervet, il mercato ortofrutticolo... La villa Gargana se ne sta lì, in un angolo appartato; la si nota soltanto a patto di transitare piano, meglio se a piedi o in bicicletta. Andando da Bergamo a Seriate rimane sulla destra. All'ingresso sta un cancello dominato da due grandi alberi. Se ci si ferma, si ammira un giardino all'italiana e il porticato della facciata, con volte e colonne.
La Gargana è una villa del Seicento, casa di campagna della famiglia nobile dei Gargana che le diedero il nome. Prima della villa, intorno al XIII secolo, venne costruita una fortificazione al servizio del borgo di Boccaleone, quando poi la situazione si fece più calma, probabilmente con l’arrivo dei Veneziani, il fortilizio venne trasformato in una cascina e quindi fu realizzata la villa padronale. Le cascine non scomparvero: stavano, e ancora si possono vedere, accanto al palazzo. Dovevano curare un terreno molto ampio che arrivava fino a Seriate e fino a Paderno, Boccaleone. Oggi la casa è abitata dalla signora Matilde Ambretta Coffari e dalla figlia Margherita Pistoni.
Il piano terra brilla di uno splendore antico: pavimenti di mattoni e di legno, soffitti affrescati. Quello della grande sala appare magnifico, risale al XVII secolo e ci ha messo il suo genio anche Vittore Ghislandi, Fra’ Galgario. La signora Matilde “Ambretta” (gli amici e i familiari la chiamano così) ha 93 anni, ma ne dimostra dieci di meno. Dentro ha il calore magmatico della Sicilia, fuori la visione ampia e serena della Svizzera. Cammina nella sua grande casa con sicurezza, sale lo scalone, indica i quadri, spiega le parentele, racconta storie. Mantenere questa dimora non è facile. Si siede nella poltrona della sala al primo piano e racconta: «Vede, una volta avevamo grandi proprietà, poi si sono ridotte a causa degli espropri. Prima la ferrovia, la Bergamo-Brescia nell’Ottocento, poi il piazzale della Celadina, quello dove si facevano le giostre, che poi il Comune ha ceduto all’Esselunga. Ce lo espropriarono negli anni Sessanta per un uso pubblico, sociale. Alla fine lo hanno venduto alla grande distribuzione. Poi il grande esproprio per metterci quella bruttura della nuova fiera di Bergamo. Adesso si parla di altro ancora, il Comune vorrebbe altri terreni... È una situazione diventata insostenibile». Per questa ragione, la famiglia ha deciso di cominciare ad aprire il palazzo agli eventi, anche alle visite organizzate, è entrata nel circuito delle dimore storiche (www.dimorestorichebergamo.it).
La signora Coffari racconta: «Dopo i Gargana, la casa passò agli Asperti, agli Ambiveri e poi a degli immobiliaristi, nell’Ottocento. A un certo punto la usarono in maniera impropria, in abbinata con le cascine, anche per l’allevamento dei bachi da seta. Intorno al 1880, questa casa venne acquistata da Agostino Coffari e da Rosa Steiner, i miei nonni».
Tra queste pareti sono fluiti secoli di storia: vite, sorrisi, speranze, pianti. Anche la vita di Agostino e Rosa. Racconta ancora la signora: «Lui era un soldato, un ufficiale del Regno. Venne dalla Sicilia in servizio a Bergamo, i suoi genitori erano baroni, proprietari terrieri, gente molto tradizionalista. Lei era una Steiner, protestanti, imprenditori, con una visione aperta delle cose. Agostino Coffari si innamorò di Rosa vedendola sul balcone di casa Steiner, in via XX Settembre, quasi di fronte alla chiesa dove si conserva la statua di Santa Lucia. Lui passeggiava sotto e la guardava e così si innamorò. Un giorno le fece avere una lettera in cui si dichiarava e addirittura le chiedeva se lei volesse condividere la vita con lui. Gli Steiner per risposta presero la figlia e la spedirono in Svizzera, dai parenti. (...)