Le vecchie scarpe appese ai cavi della Teb di Bergamo: non per forza simbolo di spaccio
La moda si chiama “shoefiti” (dall’unione dei termini “shoe”, scarpa, e “graffiti”), fa parte della "cultura di strada" ed è comune in tantissime città italiane

di Andrea Rossetti
Ci sono immagini che diventano un simbolo. Poco importa se poi rappresentino realmente il significato che viene loro affibbiato. Quelle scarpe legate insieme con i loro lacci e appese ai cavi della stazione Teb di Bergamo, negli ultimi giorni, sono diventate il simbolo del degrado in cui versa la zona, tra violenza, disagio sociale e spaccio.
Ne ha scritto L’Eco di Bergamo, ne hanno parlato le tv locali: «Siamo in centro città ma a tratti sembra il terzo mondo». Quelle scarpe appese, infatti, secondo molti rappresenterebbero dei segnali dei clan per indicare le zone di spaccio. Le cose, però, non stanno proprio così. O almeno, non per forza.
Che la zona della stazione di Bergamo sia un’area delicata (eufemismo) per quanto riguarda la sicurezza non è certo cosa nuova. Il vicesindaco Sergio Gandi lo sa bene e da anni lavora con le forze dell’ordine per tentare di porre un argine al degrado e all'illegalità. Negli ultimi tempi, però, le cose sembrano essere peggiorate e il tema è dunque tornato alla ribalta delle cronache (e del dibattito politico). Viene quindi facile abbinare quell'immagine al loro presunto significato più cupo, più losco. E dire che Bergamo è «terzo mondo».
Eppure basta fare una veloce ricerca su Google per scoprire che il fenomeno in questione, denominato “shoefiti” (dall’unione dei termini “shoe”, scarpa, e “graffiti”), è comune in tantissime città italiane: Cesena, Sassari, Bari, Milano, Firenze, Torino, Bra solo per elencare le ultime. E capire che non sempre sono un simbolo di degrado e illegalità. L’origine del fenomeno non è chiara. Si sa solo che è nato negli Usa e che, col tempo, è entrato a far parte della “cultura di strada” con significati diversi in base ai luoghi e ai momenti storici. (...)