Condanna di Sandra Fratus, le motivazioni della sentenza: «Condotta squilibrata rispetto all'offesa»
La donna per la Corte aveva delle alternative, come scappare e chiamare le forze dell'ordine. Non riconosciuta la legittima difesa
Avrebbe potuto scappare, rifugiarsi dai vicini o chiamare aiuto con il 112. Inoltre, la sproporzione tra l'offesa subita e la reazione sarebbe evidente. Queste, in sintesi, le motivazioni della sentenza con cui gli ermellini, lo scorso 14 giugno, hanno condannato in primo grado a 21 anni di carcere Sandra Fratus, a processo per l'omicidio del convivente Ernest Emperor Mohamed a Morengo.
L'imputata picchiata più volte
Le dinamiche in cui maturò il delitto, nel corso del procedimento, sono divenute ormai note: il trentenne nigeriano e la donna avevano una relazione dal 2017, durata per cinque anni di cui l'ultimo trascorso nella stessa abitazione, nel paese della Bassa. In questo periodo di tempo, Fratus era finita sette volte al pronto Soccorso di Romano di Lombardia con varie ecchimosi, lesioni, fratture e costole rotte. A procurargliele, in varie occasioni, da quanto si sarebbe ormai capito dal processo il compagno.
Lo stesso giudice Giovanni Petillo, come riportato oggi (venerdì 30 giugno) da L'Eco di Bergamo, ha citato questi dettagli nel documento, poiché li ha ritenuti utili per delineare «il contesto entro il quale maturò l’insano gesto dell’imputata, giunto al culmine dell’ennesima lite e dell’aggressione subita, allorché il convivente la colpì all’altezza della tempia, facendole perdere gli occhiali». Secondo i giudici, la vittima aveva «posto in essere, nei confronti della Fratus, una condotta aggressiva, tale da determinare un pericolo attuale di offesa». Nel corso della serata aveva «reiteratamente aggredito, verbalmente e fisicamente, la sua convivente».
Non riconosciuta la legittima difesa
La Corte non ha però riconosciuto la legittima difesa, in quanto «l’aggredito, di fronte all’alternativa se reagire o subire, non deve avere altre alternative se non quella di reagire». In questo caso, invece, «la storia di quella tragica notte, cosi come raccontata dalla stessa imputata, evidenzia come costei, se effettivamente avesse ritenuto di poter essere esposta a ulteriori e più gravi aggressioni, avrebbe potuto allontanarsi dall’abitazione», oppure rivolgersi alle forze dell'ordine o aspettare il figlio, che stava arrivando in macchina dopo che l'aveva chiamato, preoccupata per l'atteggiamento del convivente. Mancherebbe, inoltre, la «proporzionalità tra offesa e difesa».
Per i giudici la reazione fu spropositata
A incidere sulla decisione dei giudici anche la coltellata al cuore in risposta al colpo al viso, ritenuta «una condotta non solo non necessaria, ma per l’appunto di gran lunga squilibrata, rispetto al ceffone subito, sia per il mezzo usato che per la direzione del colpo inferto». Una reazione ritenuta «impulsiva e repentina», che sarebbe stata «determinata dalla rabbia, dall’esasperazione, dalla frustrazione» maturati nel tempo, a causa dei «reiterati comportamenti del convivente, che avevano finito per ingenerare in lei una condizione di sopraffazione e umiliazione».