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Uccise Rossana Aber, colf ucraina condannata a 18 anni: svelate le motivazioni

Per i giudici non c'era premeditazione: «Un gesto dettato dal panico, con una denuncia penale le avrebbero negato il permesso di soggiorno»

Uccise Rossana Aber, colf ucraina condannata a 18 anni: svelate le motivazioni
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La Corte d'Assise ha emesso la sentenza di condanna per Krystyna Mykhalchuk, 27enne ucraina ritenuta responsabile della morte di Rosanna Aber, anziana di 77 anni precipitata dalla finestra della sua abitazione al quarto piano in via Einstein, a Colognola.

Crollato il castello di bugie

La tragedia si era consumata il 22 aprile 2022 in pochi, fatali minuti. La Corte, presieduta da Patrizia Ingrascì con a latere la giudice Donatella Nava, ha inflitto 18 anni di reclusione alla giovane donna, che lavorava come colf nell'abitazione della vittima.

Come riportato dal Corriere Bergamo, le motivazioni della sentenza dipingono il quadro di una donna con una «pervicace inclinazione a mentire», caratterizzata da un atteggiamento camaleontesco nel proporre la «sua» verità, variabile a seconda dell'interlocutore. Questa serie di contraddizioni è stata determinante per il verdetto di colpevolezza.

Secondo i giudici, Mykhalchuk avrebbe spinto la sua datrice di lavoro dalla finestra della camera da letto dopo che quest'ultima aveva scoperto un prelievo non autorizzato di 2 mila euro effettuato dalla giovane con il bancomat dell'anziana. La 27enne, descritta come ludopatica, avrebbe agito per evitare una denuncia che avrebbe compromesso il suo permesso di soggiorno.

La ricostruzione

Rosanna Aber rientrò dall'agenzia viaggi alle 13:26, alle 13:31 l'imputata chiamò il marito e alle 13:33 venne allertato il 118. Sette minuti in cui si è consumata la tragedia.

Decisiva per la condanna è stata la testimonianza di due persone che hanno assistito alla scena dalla strada. Hanno descritto l'anziana seduta di spalle sul davanzale, con il corpo verso l'interno dell'appartamento e le braccia allungate, in un evidente tentativo di evitare lo sbilanciamento e, secondo la Corte, di «respingere l'aggressione».

La successiva immagine delle gambe tese e dell'inizio della caduta rappresenterebbe «la fase dell'ultima azione omicidiaria, la spinta finale inflitta dalla Mykhalchuk alla vittima in bilico sul davanzale».

Comportamenti rivelatori

Ad aggravare la posizione dell'imputata è stato il suo comportamento dopo i fatti. Mentre i presenti erano sconvolti, la donna appariva «piuttosto fredda» e priva di empatia verso la vittima. Non si precipitò immediatamente in cortile per verificare le condizioni dell'anziana, ma scese con calma, portando con sé una borsa e un maglioncino.

Per i giudici, questo atteggiamento era motivato dal «timore ragionevole che la Aber fosse ancora agonizzante e potesse indicarla come responsabile della caduta».

Troppe versioni contrastanti

Nel caos seguente alla tragedia, Mykhalchuk fornì versioni diverse dell'accaduto a ciascun interlocutore: a qualcuno disse di aver cercato di afferrare la donna, ad altri che stava pulendo il pavimento in corridoio, ad altri ancora che si trovava «nell'altra camera». Alla figlia dell'anziana, Elisabetta, disse semplicemente: «Non c'entro».

Anche nelle deposizioni alla polizia, rese a distanza di tre ore lo stesso giorno, fornì racconti contraddittori, prima parlando di un urlo sentito e poi affermando di trovarsi «dall'altra parte della casa».

Esclusa la premeditazione

La sentenza descrive l'imputata come come una donna presa dal panico, che «comprese, in un attimo, che la sua vita si sarebbe ulteriormente complicata con una denuncia penale e, con ogni probabilità, non le sarebbe stato rilasciato un nuovo permesso di soggiorno». Una tragedia nata da una situazione disperata, culminata in un gesto irreparabile che ha spezzato una vita e ne ha condannata un'altra a 18 anni di reclusione.

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