il giallo

Uomo scomparso nel 2004 ritrovato morto nel lago 15 anni dopo: il misterioso caso di Tavernola rischia l’archiviazione

Il corpo di Rosario Tilotta è stato ritrovato chiuso nella Ford Fiesta finita a decine di metri di profondità nelle acque del Sebino

Uomo scomparso nel 2004 ritrovato morto nel lago 15 anni dopo: il misterioso caso di Tavernola rischia l’archiviazione

Il lago d’Iseo custodisce da anni una storia inquietante, rimasta senza risposte. Ora, dopo sei anni di indagini e quindici dalla scomparsa, la Procura chiede l’archiviazione del caso di Rosario Tilotta, l’operaio di 59 anni sparito nel nulla nel luglio 2004 e ritrovato morto solo nel 2019, chiuso nella sua Ford Fiesta, a decine di metri di profondità davanti a Tavernola Bergamasca.

Troppi i vuoti, nessuna pista concreta: il fascicolo per omicidio rischia di chiudersi senza colpevoli.

Il ritrovamento choc nel 2019

La notizia la riporta proprio oggi (mercoledì 24 dicembre) il Corriere Bergamo. Per anni quella Ford Fiesta amaranto era rimasta lì sotto, sul fondale davanti a Tavernola Bergamasca. I sub di passaggio la fotografavano, la conoscevano. Ma solo nell’estate del 2019 due sommozzatori si accorsero che dentro c’era un cadavere.

Il recupero avvenne a inizio settembre: i resti di Tilotta erano in parte saponificati, in parte scheletriti. L’auto era a circa 80 metri di profondità, con il muso rivolto verso la riva, in un punto dove il fondale scende rapidamente a picco.

Identità certa, cause no

A confermare che quei resti appartenessero proprio a Rosario Tilotta fu l’esame del Dna. L’analisi, condotta su un frammento dell’omero destro e comparata con il profilo genetico del fratello Diego, non lasciò dubbi.

L’autopsia, affidata a Cristina Cattaneo, però, non riuscì a chiarire come fosse morto. Purtroppo il corpo era troppo compromesso. La stessa anatomopatologa milanese è nota al grande pubblico per aver seguito alcuni dei più delicati casi di cronaca nera italiana, tra cui quello di Yara Gambirasio.

L’ipotesi dell’annegamento rimase sul tavolo, senza escludere altre cause.

Quei dettagli strani

Due elementi emersero come particolarmente strani. Il primo: segni di emorragia alla testa, impossibile però capire se causata da un colpo o da altro. Il secondo: nello stomaco c’erano tracce di quetiapina, un sedativo potente. Non nei capelli, non nei peli. Segno che non lo assumeva abitualmente. Senza informazioni su eventuali cure o patologie, anche questo dato però restò sospeso.

L’auto entrata in acqua “piano” 

Ancora più forti i dubbi su un incidente o suicidio furono sollevati dalla consulenza tecnica dell’ingegnere Paolo Panzeri. Studiando la posizione dell’auto, le foto dei palombari e la strada sopra il lago, Panzeri arrivò a una conclusione chiara: quella Fiesta non sarebbe finita in acqua per caso. Secondo lui entrò nel lago in retromarcia, a velocità bassissima e addirittura con il motore spento. Le chiavi infatti erano ancora girate nel cruscotto.

Un suicidio, così, convince poco. L’ipotesi è che qualcuno l’abbia spinta o accompagnata in acqua, almeno all’inizio.

 Allontanamento volontario?

Quando Tilotta sparì, il 16 luglio 2004, la vicenda non venne subito letta come un possibile delitto. La denuncia fu presentata solo il 10 settembre dalla moglie Elva Kurti, più giovane di lui di 32 anni, all’epoca incinta e residente a Scanzorosciate. L’inchiesta partì come un semplice allontanamento volontario. E anche gli accertamenti sulla donna, che aveva precedenti di polizia – per falso, ricettazione e prostituzione – non portarono a nulla di concreto.

Nessuna pista vera da seguire

Col tempo, nonostante il ritrovamento del corpo e l’apertura di un fascicolo per omicidio, gli investigatori si sono trovati con le mani quasi vuote. Niente tabulati telefonici, nessuna telecamera o testimone decisivo. Nessun movente chiaro. Solo sospetti, ma nessuna prova da cui partire davvero.

Oggi Elva Kurti vive in Montenegro e torna ogni tanto in Italia. Assistita dall’avvocato Giulio Speziale, ad agosto ha chiesto alla Procura generale di Brescia di chiudere l’indagine, per tutelare le proprie «ragioni civili», cioè economiche. Un passo che va nella stessa direzione della richiesta del pm Giancarlo Mancusi, che ora chiede l’archiviazione del caso.

L’ultima parola al giudice

Il pm Mancusi, preso atto dell’assenza di una pista solida dopo anni di accertamenti, ha infatti chiesto di mettere la parola fine al procedimento. Ora spetta al giudice per le indagini preliminari decidere. Il lago d’Iseo, intanto, resta custode dwl mistero.