Antegnate

Reintegrata l’impiegata licenziata dopo il pedinamento da parte di un investigatore

La storia di Sonia Assanelli, 50enne dipendente della Sinergia di Treviglio

Reintegrata l’impiegata licenziata dopo il pedinamento da parte di un investigatore
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Era stata licenziata dal suo lavoro di impiegata dopo essere stata pedinata per 18 giorni da un investigatore privato, che durante un periodo di malattia l’aveva fotografata mentre faceva la spesa e conduceva una vita apparentemente normale, negli orari consentiti. Ora, il Tribunale del Lavoro di Bergamo ha definitivamente confermato che l’azienda dovrà reintegrarla, dando ragione al sindacato che per quattro anni ha seguito la vicenda patrocinando un lungo e articolato contenzioso. Lo racconta il Giornale di Treviglio.

Impiegata licenziata dopo il pedinamento

Protagonista di questa strana vicenda è Sonia Assanelli, 50enne di Antegnate dipendente della Sinergia di Treviglio, azienda che si occupa di back office per conto delle banche di credito cooperativo del gruppo Iccrea. La sua tortuosa vicenda era cominciata con una serie di operazioni chirurgiche che aveva dovuto subire, aveva raccontato Assanelli nel 2018 quando la vertenza ebbe inizio. L’impiegata, nei due anni precedenti, aveva infatti subito quattro interventi al braccio, “i primi due a causa di una malattia del nervo, gli altri due per una caduta accidentale”.

Quattro operazioni e 145 giorni di malattia in due anni

Complessivamente, i giorni di malattia totalizzati in quei due anni erano arrivati, aveva spiegato la stessa impiegata, a 145. Oltre ai problemi di salute, la donna aveva anche raccontato di una serie di gravi problemi problemi personali, che non avevano aiutato il decorso post-operatorio. Era l’inizio del 2018 quando Sinergia decise di approfondire le cause della lunga assenza della propria dipendente. E per farlo, mise alle calcagna dell’impiegata nientemeno che un investigatore privato, che la pedinasse e trovasse le prove di un presunto ingiusto ricorso alla malattia.

Diciotto giorni di pedinamento

Il pedinamento da parte di una società di investigazione cominciò l’8 gennaio 2018 e per 18 giorni, fine settimana compresi, l’agente documentò dettagliatamente la vita privata di Assanelli. Che il 31 gennaio si vide recapitare una lettera di licenziamento per giusta causa. C’era scritto che, grazie al lavoro dello «007», l’azienda aveva appurato che “utilizzava la mano operata con assoluta naturalezza e senza alcuna apparente limitazione”. Ad esempio andando a fare la spesa. Una necessità del resto inderogabile per l’impiegata, che viveva da sola. Assanelli, documentò l’investigatore, aveva “guidato l’auto per brevi tragitti”, “spinto il carrello” e “trasportato pesi, compresa una confezione di sei bottiglie d’acqua da un litro”, naturalmente negli orari della giornata in cui le era possibile uscire.

La causa: “Mi sono sentita violata”

Quando, dopo il licenziamento, l’impiegata apprese di essere stata pedinata, si rivolse quindi al sindacato Uilca per chiedere assistenza. “Mi sono sentita violata nella mia privacy e nella mia dignità” aveva spiegato. E decise di impugnare il licenziamento.

La prima sentenza le dà ragione

Una prima sentenza del marzo 2019, emessa dal Tribunale del Lavoro di Bergamo, le aveva già dato ragione, e aveva annullato il licenziamento ordinando il reintegro e il pagamento di un indennizzo pari alla retribuzione non corrisposta. Sinergia aveva però fatto ricorso contro la decisione del Tribunale, chiedendo al Giudice di ascoltare gli investigatori e il Consulente tecnico d’ufficio per verificare da un lato se la condotta della donna durante la malattia fosse o meno “pregiudizievole alla guarigione”. E dall’altro, se la patologia per la quale era stata operata fosse o meno effettivamente incompatibile con l’attività di un’impiegata. In sostanza, non era più in discussione il fatto che Assanelli fosse legittimamente assente per malattia, ma che durante questo periodo avesse assunto “un comportamento tale da pregiudicare il rientro in ufficio”.

Rigettato il ricorso

Anche in questa seconda fase della battaglia legale il Tribunale ha dato ragione all’impiegata e al sindacato: il 21 gennaio il Giudice del Lavoro Raffaele Lapenta ha rigettato il ricorso e l’ordinanza di reintegro è stata confermata. “La soddisfazione è tanta, è stata fatta giustizia e siamo riusciti a ridare il sorriso alla nostra associata – commenta in una nota Giovanni Gianninoto, segretario regionale di Uilca – Ma ci chiediamo: chi mai ripagherà la Lavoratrice per quanto ha dovuto subire? Pedinamenti che hanno umiliato Sonia come donna, mamma e lavoratrice, un licenziamento che ha recato pregiudizio morale, sociale ed economico alla lavoratrice e come se non bastasse alcuni lavoratori che hanno ritenuto più vantaggioso voltare le spalle a Sonia e farsi vedere accondiscendenti con l’allora capo del personale che ha gestito la regia per conto del direttore generale”, commentano Uilca e Uil.

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