Lunga intervista a SeiLaTv

Il Bocia dall'esilio spiega la scelta degli Ultras: «Finito un ciclo, ma la Curva Nord ci sarà sempre»

«Quando vedi che non ci sono più la passione, l’impegno e il sacrificio di prima è inevitabile non stare a vivacchiare: era il momento di chiudere. I miei errori ci sono stati, ma li ho pagati tutti, forse fin troppo. Tornerò a Bergamo solo se potrò tornare all'Atalanta».

Il Bocia dall'esilio spiega la scelta degli Ultras: «Finito un ciclo, ma la Curva Nord ci sarà sempre»
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di Fabio Gennari

«Siamo arrivati a una decisione importante, ma giusta. Era il momento di chiudere un ciclo e credo che lo abbiamo fatto con consapevolezza. Non abbiamo sciolto la Curva Nord, quella ci sarà sempre. Abbiamo sciolto i Supporters, il nostro gruppo. Ho parlato con tutti i miei amici e quando vedi che non ci sono più la passione, l’impegno e il sacrificio di prima è inevitabile non stare a vivacchiare: un ciclo può finire, si è lasciato un segno in questi 23 anni di servizio alla Curva Nord. Nessuno era il capo, casomai è la gente che identifica le persone da seguire e in cui si può credere e di cui ci si può fidare».

Claudio "Bocia" Galimberti ha parlato per la prima volta dopo la chiusura dei battenti del gruppo trainante degli ultras bergamaschi. Lo ha fatto ai microfoni della trasmissione "DodicesimoUomo" su SeiLaTv, la conduttrice Milva Cerveni lo ha raggiunto nelle Marche dove da alcuni anni il Bocia lavora in mare a bordo di un peschereccio e sta tentando di rifarsi una vita. Durante i circa quindici minuti di chiacchierata, le parole dell'ex leader della Curva Pisani scorrono veloci, il carisma è sempre quello, anche se le ferite aperte sono tante.

«La mia assenza - ha detto Claudio Galimberti - è figlia di una repressione mirata che mi ha messo con le spalle al muro da tempo. A Bergamo ho dato tutto, l’Atalanta è la mia vita e non posso cancellare quello che è nel mio Dna. Però ho deciso che tornerò in città solo se potrò tornare all’Atalanta. In passato mi hanno tolto la casa, il lavoro e la patente oltre a 28 anni di Atalanta. I miei errori ci sono stati, senza dubbio. Ma li ho pagati tutti, forse fin troppo. Ne ho fatti tanti, ma credo che tutto poi passi, finisca. Ho sempre cercato di resistere, l’Atalanta per me è tutto».

È ferito, il Bocia. Parla di quello che è stata la Curva e sottolinea una crescita che nel tempo ha portato gli ultras nerazzurri e un evento come la Festa della Dea a diventare un punto di aggregazione formidabile per tutta la provincia. «Siamo stati al servizio della Curva con sacrificio e passione, nel modo più genuino e semplice possibile. La Curva andrà avanti come ha sempre fatto, con altre realtà e magari anche con l’aiuto nostro se verrà data la possibilità di rientrare a chi è fuori. I punti di riferimento sono sempre importanti. Ci ho messo la faccia, il cuore e i muscoli per una passione che ho fin da bambino. Per il calcio, per l’Atalanta e per la sua storia. Sbagliando, ho messo anche la mia famiglia un po' più indietro. Penso che quindici edizioni della Festa della Dea racchiudano tutto quello che un ultras riesce a trasmettere. Abbiamo dimostrato e testimoniato un senso di appartenenza incredibile».

Claudio "Bocia" Galimberti lontano da Bergamo non ha forse percepito in modo completo gli effetti della decisione presa: sui social se n'è parlato moltissimo, ma lui, Facebook e tutto il resto, non li segue. «Non ho visto cosa si è scatenato, non sono sui social e ho un telefonino che mi serve solo per chiamare e ricevere chiamate. Ho parlato con i più giovani e i più vecchi, quelli che sono stati con me in questa bellissima avventura. Ho la coscienza a posto. L’amico vero ti chiama. Il cavalier Randazzo mi ha telefonato commosso, mi ha detto grazie  dicendo che ero l’unico giocatore da tenere: dopo queste parole mi sono messo a piangere. È stato davvero emozionante».

In attesa di capire cosa accadrà in futuro e chi proverà a mettersi al timone di quel grande contenitore di passione che è la Curva Pisani, le parole del Bocia sono la spiegazione migliore di come lui e tutti i ragazzi che hanno guidato la Nord in questi anni vedono il tifo a Bergamo. «Ho sempre pensato all’unione dei gruppi e della tifoseria. Appartenenza, conoscenza e passione sono al centro di tutto: se qualcuno fa male all’Atalanta, l’ultras se ne accorge. Ho sempre cercato di mettere chi faceva le cose al meglio al posto giusto. Il bene comune viene prima di tutto. La Curva di Bergamo ha espresso un potenziale incredibile. Un gruppo unito, un muro umano con 14 mila mani alzate. Bastava un punto di riferimento e l’amore per l’Atalanta. Tutti insieme abbiamo fatto cose incredibili. Il codice ultras è sempre quello: aggregazione, aggregazione, aggregazione. C’è sempre il gruppo prima della squadra. Un ultras non è un tifoso, è un ultras. Pensa prima al suo gruppo. Poi il gruppo pensa alla Curva, la Curva prova a coinvolgere lo stadio e dallo stadio si va in città. Parte tutto dalla maglia».

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