Nel giorno della festa, l'Atalanta è stata feroce: non era scontato, è questione di Dna
La Dea non si ferma, gli orobici continuano a spingere sull'acceleratore e domenica prossima (2 giugno) c'è da finire il lavoro per arrivare terzi
di Fabio Gennari
La rincorsa di fine stagione dell'Atalanta è stata travolgente. Nelle ultime sei partite, la Dea ha fatto bottino pieno, 18 punti che valgono l'attuale quarto posto con vista sul terzo: a quota 72, quindi battendo la Fiorentina nel recupero di domenica prossima, la Dea si isserebbe per la quarta volta in otto stagioni con Gasperini in panchina sul terzo gradino del podio. Sempre con oltre 70 punti. Qualcosa di enorme se si pensa anche al fatto che la Dea quest'anno è andata anche in finale di Coppa Italia e ha vinto l'Europa League.
Quello che ha esaltato davvero, contro il Torino, è la ferocia con cui la Dea è entrata in campo. Lo spirito era quello dei giorni migliori, Djimsiti in attacco e la squadra proiettata nell'area dei granata sul 3-0 e a pochi minuti dalla fine sono due cartoline che raccontano molto bene perché la Dea sta facendo grandi cose.
Se giochi sempre con questo spirito, con questa voglia di onorare il campo, l'avversario, il campionato e lo sport, significa che hai dentro qualcosa di incredibile. Di forte. Di unico. Si tratta di uno stile che ormai fa parte del Dna nerazzurro.
Dopo la baraonda di emozioni vissuta a Dublino, con la coppa dell'Europa League lì a guardarti durante il match, c'erano tutti gli ingredienti per una sfida meno vibrante del solito. E invece sul Torino si è scatenata una bufera che non ha lasciato scampo all'avversario, Scamacca e Lookman nel primo tempo e Pasalic nella ripresa hanno demolito una squadra timida e impacciata (oltre che contestata), spinti da un pubblico di casa costantemente sulle nuvole. Emozionato ed esaltato. Quante cose belle.