Dopo anni di tentativi in Italia, Lola Delnevo chiede di curarsi in Austria. Risposta: «No»
Paralizzata dal 2015, ha fatto tante "prime visite" in varie strutture, senza mai riuscire a iniziare un percorso: «Ore e ore al telefono»

di Marta Belotti
«Vogliono che i disabili restino chiusi in casa, assistiti da una badante tutto il giorno, perché non si possono più muovere non essendo stati seguiti negli anni?». Si sente, nella voce di Eleonora Delnevo - atleta bergamasca da tutti conosciuta come "Lola", rimasta paralizzata nel 2015 dopo una caduta in quota -, l'esasperazione di chi le ha provate tutte e non ne può più.
La rabbia di Delnevo nasce dal fatto di aver da poco ricevuto da Regione Lombardia un parere negativo alla sua richiesta di potersi curare all'estero, in Austria. Una domanda, questa, che ha deciso di presentare perché in Italia non è riuscita a ottenere le cure e gli esami di cui aveva bisogno. «Già è difficile vivere tutti i giorni in carrozzina, in più vedermi negati anche certi diritti fondamentali...».
Tutto bene finché...
Racconta: «Dopo il Covid, ho iniziato a risentire di qualche acciacco di troppo. Persone che hanno una lesione spinale come la mia, e sono costrette per molte ore a stare in carrozzina, hanno bisogno di fare esercizi di mantenimento e possono poi avere dei problemi agli organi bassi, che vengono schiacciati. Anche se ci si muove molto come me, che sono una sportiva, e ci si arrangia da soli a seguire un percorso di fisioterapia a propria discrezione (e a proprie spese), arriva comunque un momento in cui serve un controllo generale».
I due problemi
Due sono i nodi principali che vengono al pettine, a questo punto. Innanzitutto, la mancanza di un coordinamento: «Ho avuto problemi di vescica e ho dovuto chiedere una visita a sé, come se la cosa non fosse legata alla mia lesione spinale, quando invece lo è. Non mi sono mai sentita considerata come una paziente nel suo complesso, ma sempre come "varie parti" che devono essere messe a posto una alla volta».
In secondo luogo, la difficoltà a inserirsi in un percorso completo di fisioterapia, riabilitazione e mantenimento specificatamente connesso alla lesione.
La "prima visita fisiatrica"
Per quanto riguarda quest'ultimo, l'inizio è andato liscio: Delnevo ha contattato il medico di base, che le ha fatto una ricetta per la visita fisiatrica. «Se si vuole fare subito, e si ha la disponibilità economica, la si prenota in privato; se si è disposti ad attendere, la si fa tramite il pubblico, come per tutto ormai - sottolinea Delnevo -. Sono andata a Mozzo, al centro specialistico collegato al Papa Giovanni di Bergamo, e mi hanno fatto la regolarmente quella che è chiamata "prima visita fisiatrica". Alla luce di questa, mi è stato steso un programma da seguire. Qui arrivano i problemi: provando a chiamare per prenotare le vari sedute prescritte, non sono mai riuscita a trovare posto. Anche solo trovare la linea libera è un'impresa. Se uno lavora, non può spendere ore e ore attaccato al telefono!».
Aggiunge: «E questa non era la prima volta che mi succedeva. Mi era capitato prima del Covid anche al Niguarda di Milano e pure a Villa Beretta a Costa Masnaga, dove tra l'altro Regione mi ha consigliato di andare dopo aver rifiutato la mia richiesta di permesso di curarmi all'estero. Pensano che io non abbia già provato di tutto? Sarà anche vero che, come mi hanno scritto da Regione, centri specializzati ci sono in Italia, ma sono anni che faccio "prime visite fisiatriche" che poi non portano a nulla. Se fossi stata soddisfatta, o anche solo fossi riuscita a fare quello che chiedo, non mi sarei mossa fuori dall'Italia».
L'inceppo del sistema
Un sistema, quindi, non organizzato e che si inceppa, tanto da non aver consentito in questi anni a Delnevo di prendersi cura di sé e del proprio corpo come ritiene opportuno.
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«Quindi, dopo aver fatto tantissime "prime visite" finite nel vuoto, sono venuta a conoscenza di questo centro d'eccellenza in Austria. Qui ho spiegato il mio problema e loro mi hanno proposto due mesi di ricovero per fare controlli completi e sperimentare diverse tecniche di esercizi e di terapia per il mantenimento. Costo totale, 22 mila euro».
La bergamasca ha quindi deciso di allegare tutta la documentazione e inviare la richiesta di copertura delle cure alla sua Asst di competenza, la Bergamo Est, dato che abita ad Albino. Questa ha a sua volta mandato la domanda a Regione, dato che queste procedure vengono gestite a livello superiore. La risposta dell'ente, come anticipato, è stata negativa. Ma Delnevo non intende fermarsi.
«Ho il diritto di vivere bene»
«Ho mandato una lettera di reclamo alla Asst, la stessa che ho pubblicato su Instagram - spiega -. Sto anche valutando di proseguire in termini legali. Non è facile, perché come faccio a dimostrare di essere stata ore e ore al telefono a cercare di prenotare le sedute necessarie? Ma non mi arrenderò, perché vivere bene finché mi è possibile è un mio diritto. E non intendo rinunciarci».
Purtroppo, questa è l'italia. Volutamente, scritto in minuscolo. Importiamo nel nostro "paese" per cure (a carico del servizio sanitario nazionale), con soldi nostri, persone da ogni parte del mondo. Un cittadino ITALIANO viene lasciato in balia degli eventi. VERGOGNOSO, OFFENSIVO. Non scrivo altro. Una considerazione: mi vergogno di essere italiano.
Perché stupirsi, questa è l'eccellenza lombarda della sanità.