Eppure, fino a qualche anno fa, Aler Bergamo era un modello a livello nazionale
Punto di riferimento sia per la gestione degli immobili che per quella finanziaria. L'ex dg Marzìa: «Servono persone giuste al posto giusto»
di Andrea Rossetti
C’è stato un tempo, neppure troppo lontano, in cui l’Aler di Bergamo era considerata un modello. In Lombardia così come in tutta Italia. L’Azienda non solo riusciva a sopperire alle necessità della fascia più fragile di popolazione assegnando le abitazioni in tempi tutto sommato “umani” e rispondendo alle richieste dei propri inquilini, ma aveva anche bilanci in ordine, se non addirittura in attivo.
Il falso problema dell’accorpamento
Stando a diverse dichiarazioni, più e meno recenti, dell’attuale presidente Fabio Danesi e dell’attuale direttore generale Diomira Cretti, un punto di svolta (in negativo) è stata la decisione di accorpare in un’unica realtà le Aler di più territori. Sono passati ben otto anni da quella decisione, ma a loro parere l’organizzazione interna dell’Azienda pagherebbe ancora oggi dei rallentamenti dovuti a quella riforma. Eppure i dati non sembrano dare loro ragione: nel biennio immediatamente successivo alla nascita dell’Aler Bergamo-Lecco-Sondrio, infatti, i numeri parlano di oltre cinquecento assegnazioni sul territorio orobico, oltre alla creazione di numerosi partenariati con Comuni del territorio. Non solo: sotto la presidenza di Luigi Mendolicchio (2014-2018), la locale Aler fu anche una delle prime a sfruttare l’occasione dei bandi europei, portando a casa milioni di euro e aprendo una strada che poi, negli anni, è stata seguita anche da altri territori.
Quando le cose andavano bene
Quei buoni risultati furono possibili anche grazie alle gestioni precedenti, quando Bruno Marzìa rivestì la carica di direttore generale dell’Aler Bergamo. «Ho ricoperto l’incarico per dieci anni, dal 2004 al 2014 - racconta Marzìa -. Senza falsa modestia, credo di aver contribuito a rendere l’Azienda un modello di gestione. Merito, ovviamente, anche di tutti coloro che lavoravano con me e del Cda, che allora guidava l’ente». Marzìa, che nel 2014 passò all’Aler di Milano, è oggi in pensione ma osserva con un mix di amarezza e delusione il declino che ha intrapreso la realtà per cui ha lavorato tanti anni. «Sicuramente le cose sono cambiate, oggi le persone economicamente fragili sono aumentate, ma vedo anche tanta disorganizzazione e inefficienza».
Marzìa parte dai numeri: «Di alloggi sfitti non ne avevamo. Sulle circa seimila abitazioni di nostra competenza in tutta la Bergamasca, ogni anno tenevamo ferme solo una ventina di case, che sistemavamo, riverniciavamo e preparavamo per la successiva assegnazione. Inoltre investivamo molto. Tra conclusioni di progetti già avviati, nuove costruzioni e avviamento di nuovi progetti, in quei dieci anni realizzammo qualcosa come cinquecento nuovi alloggi popolari». Proprio sotto Marzìa prese il via anche la costruzione delle palazzine Aler di via Borgo Palazzo, non esattamente un modello di efficienza... «Ammetto che quel progetto mi è rimasto un po’ di traverso. Purtroppo le cose non sono andate bene, i tempi si sono allungati in maniera incredibile. L’unica decisione al riguardo che rivendico, però, è quella di aver fatto costruire lì delle case e non la nuova sede Aler, come si era pensato di fare. Insomma, decidemmo di investire in favore della cittadinanza».
Quando c’era un confronto
Sebbene Marzìa non lavori più in Aler, non ha perso i contatti e continua a osservare con interesse quel che accade. E a colpirlo è, in particolare, ciò che denunciano praticamente tutti gli inquilini bergamaschi, ovvero la totale assenza di dialogo e confronto con l’attuale presidenza e l’attuale dirigenza. «La trovo una cosa assurda. Sebbene io abbia sempre operato con un occhio rivolto ai conti, non mi sono mai dimenticato che Aler è una realtà al servizio del cittadino. Anzi, al servizio di una fascia debole della popolazione. Aprivo le porte del mio ufficio una volta a settimana a chiunque avesse qualcosa da criticare, chiedere, fare presente. Due volte all’anno, insieme ad altri responsabili, facevo il giro di tutte le case del territorio e, sebbene sia ideologicamente lontanissimo dai sindacati, una volta al mese li incontravo per fare il punto della situazione. Mi chiedo come sia possibile lavorare senza questo livello di interazioni».
La gestione Aler successiva a Marzìa, inoltre, aveva fortemente rafforzato questo tipo di attività istituendo anche i portierati sociali, realtà che svolgevano non solo un importantissimo ruolo di raccordo tra l’Azienda e gli inquilini, ma che rappresentavano anche un presidio sociale teso a favorire il dialogo e l’integrazione in situazioni dove spesso convivono persone con culture e necessità diverse. Danesi ha deciso di abolirli, anche per tagliare i costi. (..)