La lettera

La drammatica storia di una mamma bergamasca: «Del mio parto ricorderò paura e solitudine»

La puerpera, bergamasca, racconta la sua dolorosa esperienza: «Mi hanno tagliato senza chiedermelo. Mi hanno fatta sentire un numero»

La drammatica storia di una mamma bergamasca: «Del mio parto ricorderò paura e solitudine»
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Pubblichiamo la lettera che ci ha scritto una lettrice, una giovane bergamasca da poco diventata mamma e che è rimasta colpita dalla tragedia avvenuta al Pertini di Roma. La versione integrale la trovate sul nostro settimanale, in edicola fino a giovedì 2 febbraio (in edizione digitale QUI).

Gentile Direttore,

sono da poco diventata mamma di una splendida bambina e - fresca dell’esperienza del parto e di tutto ciò che ne consegue - ho sentito la necessità di prendere “carta e penna” per esprimere la mia vicinanza alla giovane mamma di Roma che ha tragicamente perso il proprio bimbo. A quanto pare, il piccolo sarebbe morto soffocato sotto il peso della mamma, crollata nel sonno per l’estrema stanchezza.

Stanchezza che pare sia stata sottovalutata dal personale medico, il quale avrebbe rifiutato di portare il neonato al nido, come chiesto in più occasioni dalla donna.

In questi giorni ho letto le centinaia, migliaia di testimonianza di donne, mamme, che hanno voluto raccontare la propria esperienza del parto e dei giorni immediatamente successivi. Questa triste vicenda ha aperto il vaso di Pandora di temi che dovrebbero essere sempre attuali, ma che fino a oggi non hanno mai avuto risalto mediatico: la cosiddetta “violenza ostetrica”, la solitudine delle mamme in era Covid, una visione distorta della maternità che impone alle donne di essere in grado di gestire h 24 un neonato subito dopo il parto, nonostante i dolori e la stanchezza fisica e psicologica.

Tante storie con un unico filo conduttore: prima di essere mamme, siamo esseri umani, con tutte le debolezze, paure e insicurezze del caso.

È irreale il modello da social network di mamme fresche e truccate nella primissima foto post parto, che hanno al proprio fianco nei giorni di degenza il partner, che accudiscono i neonati e nel contempo riprendono gli allenamenti e la forma fisica in meno di una settimana. La vita vera - per molte, non per tutte, non voglio generalizzare - è fatta di travagli lunghi, parti sfiancanti, lacerazioni, episiotomie, interventi, perdite di sangue, nottate in bianco, difficoltà ad alzarsi dal letto e camminare, problemi con l’allattamento.

Il mio, ad esempio, è stato un tipico parto da primo figlio: lungo e impegnativo, con un numero imprecisato di punti per una episiotomia, la quale ho scoperto in questi giorni fare parte delle pratiche denunciate come “violenza ostetrica”.

Episiotomia che l’Oms definisce una pratica «dannosa, tranne in rari casi» e che andrebbe evitata se non in caso di complicazioni. La scelta di ricorrervi andrebbe condivisa - sempre secondo l’Oms - con la donna.

Condivisione che nel mio caso non c’è stata. Non mi sono state esposte eventuali alternative o il perché si sia scelto di praticarla. Non ho competenze mediche e sicuramente non avrei confutato la scelta del personale ospedaliero, ma avrei voluto sapere a cosa andavo incontro e le relative conseguenze, invece sono stata informata solo dopo il parto.

Anche la degenza non è stata semplice: il rooming-in, ovvero la permanenza del neonato in stanza con la mamma 24 ore su 24, è sicuramente utile per favorire l’allattamento e il legame tra mamma e neonato. Un’emozione unica, sì, ma anche (...)

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