Adesso lo dice anche la scienza Selfarsi a gogo è un brutto segnale

L’avevamo già anticipato (Quella perversione chiamata selfie) ma adesso la cosa è scientifica: chi si fa troppi selfies e passa il suo tempo a inondare Facebook e Instagram con la propria faccia qualche domanda dovrebbe farsela.
Ne avevamo avuto già conferma dal fatto che alcuni nostri inviati sotto copertura ci avevano riferito che non solo la piazza in occasione dell’Angelus, ma la stessa Basilica di San Pietro in giorno feriale pullula di bacchettine innestate con cui la gente si autoscatta ritenendosi, evidentemente, più interessante di ciò che ha intorno. Gli ambulanti illegali che solo qualche mese fa, nelle città turistiche, vendevano trepiedini o altri ingegnosi ammennicoli per sostenere la macchina fotografica digitale, negli ultimi tempi si sono convertiti all’asticella e la brandiscono minacciosamente per ogni dove come tanti narvali.
Adesso un gruppo di ricercatori dell’Università dell’Ohio, in uno studio pubblicato sulla rivista «Personality and Individuality Differences», conferma che quello di selfiarsi à gogo, come scrivono i francesi, è un comportamento - diciamo - narcisistico, espressione che nel linguaggio comune perde un po’ del peso che ha in quello tecnico, dove il narcisismo è considerato un disturbo di natura psicologica.
La cosa interessante della ricerca però, più che nelle sue conclusioni, sta nella sua genesi. Evidentemente gli studiosi americani devono essere stati così colpiti dalla diffusione di questa pratica (stavamo per scrivere “mania”) da pensare di poter mettere in piedi uno studio accademico. Loro l’hanno rilevata sui social, noi per la strada. Come richiesto da ogni indagine scientifica hanno prima di tutto identificato il campione: 800 soggetti tra i 18 e i 40 anni, maschi, residenti negli USA.
Ai prescelti sono stati sottoposti due questionari: il primo riguardante i selfies: quanti, quante pubblicazioni, uso o meno di filtri e di correzioni. Il secondo pensato per rilevare il livello di autostima, la tendenza più o meno pronunciata al narcisismo, la struttura della personalità, il comportamento sociale degli osservati.Il dato finale è stato quello atteso: più uno si piace, più selfies manda in giro.
Per evitare di esser travolta da una valanga di ingiurie, Jesse Fox (che si chiama come il famoso bandito, ma è una simpatica ragazza), docente di comunicazione e prima firma della ricerca, si è affrettata a precisare che «i risultati non ci dicono che gli uomini che pubblicano un sacco di “selfies” sono necessariamente narcisisti o psicopatici. Di sicuro, però, hanno livelli medi di questi atteggiamenti antisociali più alti» (di chi, quando si gingilla con uno smartphone, si ricorda anche del mondo che ha intorno n.d.r.)
Resta tuttavia da precisare che dicendo che una persona “si piace”, non si intende necessariamente che si piaccia davvero. Il narcisismo è spesso il risultato di una insicurezza di fondo, che spinge il soggetto ad auto incensarsi proprio per risolvere in qualche modo il gravissimo problema di non trovare nessuno nei dintorni disposto a riconoscere le sue virtù nel modo appropriato. Una soluzione che lascia comunque adito al dubbio su di sé.
Una soluzione facile, che evita la fatica di mettere in atto strategie relazionali che potrebbero anche rivelarsi fallimentari, e dunque peggiorare la situazione.Per questo i professori dell’Ohio parlano di mancanza di empatia (capacità di entrare in risonanza con gli altri), di scarso rispetto per gli altri e, soprattutto, di tendenza al comportamento impulsivo, non filtrato da un ragionamento e da una decisione.
Tutto ciò per dire che i selfiesti compulsivi preferiscono il famoso e Warholiano quarto d’ora di celebrità, magari ripetuto più e più volte alla settimana, alla stabilità della propria immagine nel mondo, cioè nella memoria degli altri. Forse perché - aggiungiamo - non amano davvero quell’immagine, come si diceva sopra.
Foto nude e crude o foto modificate? Dalla ricerca emergerebbe che chi preferisce modificare la propria immagine tende a valorizzare, di sé, proprio l’aspetto a detrimento di tutto il resto. Ossia ad affidare al proprio aspetto fisico la possibilità del successo presso i suoi amici.
Ovviamente tutti sanno che non sarà a forza di autoscatti che la nostra immagine migliorerà fino a raggiungere standard hollywoodiani. Due indizi non fanno una prova, cento scatti non fanno un Paul Newman. Da qui il rischio, da non sottovalutare, che a forza di vedersi il soggetto in parola non riesca più nemmeno a tollerare l’alibi della deformazione generata dall’obiettivo e finisca per cadere in depressione.
Così hanno scritto, nero su bianco, i ricercatori della Ohio University: «Hey, Guys: Posting a Lot of Selfies Doesn’t Send a Good Message».