Ma siamo sicuri sia proprio il caso di portare in giro la salma?
Don Gianni Carzaniga è il più titolato fra i preti bergamaschi a parlare di Papa Giovanni. Il monsignore è parroco di Sant’Alessandro in Colonna a Bergamo. È stato per anni presidente della Fondazione dedicata al pontefice («Un compito che ho svolto male», dice lui), inoltre, per più di un decennio, è stato rettore del Seminario voluto da Papa Giovanni. Don Gianni ha studiato con attenzione documenti, fatti, scritti e testimonianze riguardanti il papa bergamasco, è stato a contatto con il cardinale Loris Capovilla, segretario di Roncalli, ma fondamentale si è rivelata la sua devozione per il Papa Buono, che gli ha consentito di entrare in sintonia con il cuore di Roncalli, ancora prima degli aspetti storici e intellettuali. A don Gianni abbiamo manifestato dubbi e riserve sul “ritorno a casa” di Giovanni XXIII.
Don Gianni, ma le sembra il caso di portare in giro la salma di Papa Giovanni?
(ride) «Se lo sono chiesto in tanti a Bergamo. Per qualcuno è un gesto bello e opportuno, altri non lo condividono. Fa comunque parte di una consuetudine…».
Medievale!
«Be’, nel 2010 in San Pietro sono state ospitate le reliquie di Santa Bernardette e nel 2016 Papa Francesco ha voluto portarvi le spoglie di Padre Pio e di San Leopoldo Mandic. L’antica tradizione del pellegrinaggio alla tomba del Santo si è trasformata nel suo contrario: il santo diventa peregrinante».
E adesso tocca a Papa Giovanni.
«Non è il primo pontefice a tornare a casa. Pio X, partendo da Venezia per il conclave che lo avrebbe eletto nel 1904, disse: “O vivo o morto, tornerò”. Fu proprio Giovanni XXIII, che amava quel suo predecessore, a dare seguito alle sue parole mandando il corpo nella città lagunare».
Non risulta però che Papa Giovanni abbia detto: «O vivo o morto, tornerò a Bergamo».
(ride) «Certamente no. Voglio solo dire che la “peregrrinatio” si inserisce in questa consuetudine».
Nata secoli fa, quando le reliquie avevano importanza. Oggi siamo nell’era post cristiana, che senso ha?
«Io lo vedo come un gesto di affetto verso un uomo che ha incarnato nel senso più alto la religiosità popolare, un pastore che è stato una cosa sola con il suo gregge. Questo non significa automaticamente portare in giro le sue reliquie, ma io lo leggo così».
In ogni caso contrasta con la sensibilità moderna. Gli stessi cristiani vanno sempre più raramente a far visita ai propri morti. Se non è una sfida, a me pare una scelta anacronistica.
«Non credo sia una sfida e neppure una provocazione».
E allora che valore ha?
«Ha valore se è l’occasione per conoscere Papa Giovanni. Ha valore se incontrando la sua salma noi incontriamo la sua umanità. Se invece diventa un amuleto è qualcosa di deteriore».
Un amuleto?
«Lo diventa se non ci si ricorda chi è stato e quello che ha fatto».
Ce lo ricordi lei.
«Papa Giovanni è stato anzitutto un prete. Un uomo che in tutta la sua vita ha voluto fare il prete, condividendo ogni cosa con la sua gente. Si è formato nel cattolicesimo tridentino, che all’epoca era tacciato come anti-liberale. Ma mentre il cattolicesimo liberale, che sposava i nuovi valori, alla fine si è ridotto a niente, la visione realista dei vescovi e del giovane Roncalli è stata capace, già negli Anni Venti, di raggiungere conquiste sociali incredibili: dalle dodici ore di lavoro si è passati a dieci, poi a otto. I contadini hanno avuto i terreni in affitto. Cose che adesso non fanno più neanche i sindacati. L’enciclica Mater et Magistra, dedicata alla Chiesa, esprime una sensibilità che Roncalli assorbì a Bergamo in quel periodo. Il suo cattolicesimo faticava a capire i principi liberali, ma aveva capito fino in fondo il Vangelo ed è quello che a Bergamo ha creato le cooperative, i sindacati bianchi, le scuole, lo stesso Eco di Bergamo».
Espressioni di una chiesa viva e al passo con i tempi. Ancora di più, allora, non si comprende perché adesso “si cerchi fra i morti uno che è vivo”. Chi ha organizzato la peregrinatio?
«Penso la Diocesi, la Curia, il Vescovo».
Qualcuno, malignamente, insinua che...»