Centro Antiviolenza Penelope: 79 donne aiutate in 3 anni. In aumento dopo il lockdown
Il Centro di San Pellegrino Terme ha avuto 124 contatti con donne in difficoltà (sia diretti che via telefono, mail o segnalazioni di terzi) dei quali 79 sono stati poi presi in carico
A circa tre anni dalla sua apertura, avvenuta l'8 marzo 2018, il Centro Antiviolenza Penelope di San Pellegrino Terme ha avuto 124 contatti con donne in difficoltà (sia diretti che via telefono, mail o segnalazioni di terzi) dei quali 79 sono stati poi presi in carico. Di queste donne, 45 sono residenti in Val Brembana, mentre 34 in Comuni che fanno riferimento all'Ambito della Valle Imagna e a Villa d'Almè. Numeri che, in occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne (mercoledì 25 novembre), mostrano come nessun territorio possa dirsi immune al fenomeno.
Il Centro Antiviolenza Penelope, gestito dalla Cooperativa Sirio, è stato fortemente voluto dalla Rete Interistituzionale per il contrasto della violenza di genere negli Ambiti Valle Brembana (di competenza della Comunità Montana omonima) e Valle Imagna – Villa d'Almè (di competenza dell'Azienda Speciale Consortile). La sede del progetto si trova a Villa Speranza, a San Pellegrino Terme, (Comune capofila) a cui si sono aggiunti due sportelli ad Almenno San Bartolomeo, all'interno del PalaLemine, e a Sant'Omobono Terme, nel presidio socio-sanitario in via Vanoncini. A presentarsi sono donne (italiane e straniere) con un'età media tra i 30 e i 50 anni. Di queste, 38 hanno un lavoro, 24 sono invece disoccupate, 11 hanno un’occupazione non regolare e 6 sono in pensione.
«Esistono una varietà di situazioni diverse - sottolinea Cinzia Mancadori, responsabile del Centro Antiviolenza -. La violenza psicologica, infatti, è sempre associata a quella economica, oppure al controllo e ad atti persecutori”. Osservando i dati, fra i numeri più preoccupanti emerge che 10 donne si sono rivolte per atti di violenza psicologica, che si manifesta principalmente con minacce, svalutazioni continue e situazioni di controllo o isolamento da parte del partner, mentre 33 donne hanno chiesto aiuto dopo aver ricevuto violenze psicologiche e fisiche e 9 per violenze fisiche, psicologiche e economiche. «Tutte queste forme di violenza sono associate a quella sessuale – aggiunge Mancadori -, che si crede sempre venga da sconosciuti e invece è prevalente anche fra le mura domestiche. Posso affermare che almeno il 90 per cento delle donne che chiedono aiuto sono vittime anche di violenza sessuale, giocata spesso non sulla forza ma sulla paura: se sottrarsi ad un rapporto significa avere come conseguenza una violenza fisica, è chiaro che la donna si può prestare all'atto sessuale ma è insito che sia senza il suo consenso».
Il lockdown primaverile, inoltre, per alcune donne si è tramutato in un incubo. In molte si sono infatti trovate costrette in casa con il partner violento, senza possibilità di rifugiarsi altrove. «Le valli bergamasche, Brembana e Imagna comprese, visto una grande contrazione di richieste – spiega la responsabile –. Quando però è tornata la possibilità di movimento, queste sono esponenzialmente cresciute; basti pensare che i dati del 2019 e i primi dieci mesi del 2020 sono quasi paritetici». I contatti dello scorso anno, infatti sono stati 51, mentre nel 2020 al 31 ottobre ne risultavano già 45, nonostante uno stop di quasi tre mesi. «Abbiamo cercato di far sapere alle donne che c'eravamo comunque, nonostante il lockdown – sottolinea Francesca Capelli, coordinatrice della Rete Antiviolenza Penelope per i due Ambiti –. Il Centro si è riattivato in modalità online e anche attraverso le telefonate, in maniera tale da offrire alle donne un canale di confronto. Chiaramente per loro è stato difficile, perché stando in casa con il compagno o marito era quasi impossibile mettersi in contatto con noi». Un altro triste dato frutto del lockdown proviene dal numero di femminicidi registrati da marzo a giugno. «È un dossier del Viminale, presentato ad agosto, in cui si legge che sono state uccise 44 donne, una ogni due giorni – aggiunge Mancadori -. Nel 2019 lo stesso periodo dio tempo segnava un femminicidio ogni sei giorni».
Il 2020 ha tagliato le gambe a svariati progetti, come le visite nelle scuole per informare ragazzi e ragazze. Ciononostante a ottobre è stato comunque concluso un corso di formazione «per gli operatori del pronto soccorso e le strategie di accoglienza delle donne vittime di violenza, a cui hanno partecipato anche le forze dell'ordine e la Procura – concludono le responsabili del centro -. Un'altra novità è la collaborazione nata con l'associazione La Svolta di Bergamo, che si occupa di prendere in carico uomini maltrattanti».