«Chiudere sarebbe stato più facile, ma non responsabile»: la risposta di ABB Dalmine alle critiche
I vertici della sede bergamasca della multinazionale hanno risposto alle accuse che gli sono state mosse nel nostro articolo dopo che un dipendente è risultato positivo
di Andrea Rossetti
«Si sta parlando di senso di responsabilità. Sia dal lato produttivo, che soprattutto nei confronti dei nostri lavoratori». I vertici di ABB Dalmine hanno risposto al nostro articolo riguardante l'attività, in particolare del settore produttivo, dell'azienda considerata un centro di eccellenza operante nella robotica, nell’energia e nell’automazione in oltre cento Paesi. Nonostante l'emergenza che sta vivendo l'Italia e, in particolare, il territorio bergamasco a causa del Coronavirus, infatti, la sede dalminese di ABB non ha chiuso, come invece hanno fatto altre aziende. Precisando che le misure restrittive attuate dal Governo per fronteggiare l'epidemia non prevedono la chiusura degli stabilimenti ma soltanto il rispetto di alcune ben precise regole, sui social è montata, nei giorni scorsi, la protesta degli operai. In particolare, ABB Dalmine è divenuta involontaria protagonista di questa protesta anche perché al centro di un servizio del Tg2 che raccontava come, al suo interno, fosse stato riscontrato un operaio positivo al Coronavirus.
«Prevenzione da subito». «Sin da lunedì 24 febbraio, appena dopo i primi casi nel Lodigiano, noi abbiamo posto in essere quelle misure preventive poi diventate regole - precisano i vertici dello stabilimento dell'hinterland bergamasco -. Abbiamo sedi anche in Cina, sappiamo cosa hanno dovuto passare e quindi abbiamo fatto riferimento a loro. Eravamo preparati prima e più di altri. Abbiamo incentivato lo smart working creando così "spazi" all'interno dell'azienda per evitare il cosiddetto "stretto contatto" tra persone. Di fatto, in loco è presente soltanto il personale della produzione, con una ampia turnazione ove possibile. Abbiamo fornito prodotti igienizzanti e mascherine, abbiamo ristretto i tempi di permanenza nelle aree break, abbiamo ridotto la capienza della mensa da quasi quattrocento posti a cento».
Il caso del dipendente positivo. Tra le misure attuate sin dai primi giorni, spiegano da ABB, anche la rilevazione della febbre all'ingresso: «Il personale sanitario rilevava la temperatura e in più abbiamo fornito a ogni dipendente un questionario per sapere se, nei giorni precedente, fosse stato in una delle aree territoriali più a rischio. Se ciò fosse accaduto, non poteva entrare e si attuavano le misure previste». Che significa malattia in caso di febbre oppure permessi o ferie in caso di quarantena. Eppure il caso del dipendente portato via in ambulanza e poi risultato positivo non era stato segnalato come "malato" all'ingresso dell'azienda. «Il nostro dipendente era a casa in malattia da ben prima il 24 febbraio - spiegano sempre i vertici dell'azienda -. Il giorno in questione era tornato al lavoro alle 14. Non presentava alcun sintomo. Alle 15, però, è stato male. È intervenuto il nostro personale sanitario addetto e sono stati chiamati i soccorsi. Lo hanno ricoverato per circa una settimana. Gli hanno fatto il tampone, ma non hanno comunicato né a lui né a noi l'esito. Soltanto al momento delle dimissioni, una settimana dopo, gli hanno detto che era risultato positivo e che era guarito. Ora è a casa in convalescenza. Noi avevamo comunque attuato ogni azione preventiva: avevamo cercato di capire con chi era stato in contatto e le uniche due persone dell'azienda sono state lasciate a casa in quarantena».
La risposta ai sindacati e la precisazione sulla mail. Eppure i sindacati non sono della stessa opinione. A loro parere, i vertici ABB hanno "scaricato" sul personale la responsabilità di scegliere se continuare a lavorare o meno. «Non è stata fatta alcuna consultazione tra il personale - riferiscono dall'azienda -. Sin dal primo giorno, come poi previsto anche dall'accordo siglato lo scorso fine settimana a livello nazionale con i sindacati stessi, noi abbiamo lasciato piena libertà al personale di decidere se venire a lavorare o no, sia per motivi di salute che per "fragilità" emotive, così come per necessità familiari. Noi ci saremmo conseguentemente adattati. Per dire: settimana scorsa abbiamo avuto una produttività del settanta per cento perché ci siamo adattati alle presenze e lo stesso sta avvenendo questa settimana. Allo stesso tempo, non è vero che abbiamo "sfruttato" la chiusura di un'azienda cliente per guadagnare tempo sulla commessa: la mail a cui si fa riferimento nel vostro articolo è una mail circolata nel settore commerciale e che fa riferimento soltanto a dei preventivi per ulteriori commesse non ancora ufficiali. In altre parole, nella mail si diceva solo che c'era più tempo per strutturare un'offerta, non c'entra nulla la produzione».
Perché ABB non ha chiuso. Chiarito tutto questo, resta però il nocciolo della questione: non sarebbe stato meglio, dato il momento difficile e tragico che sta vivendo la Bergamasca, chiudere? «Sarebbe stato sicuramente più facile, ma non sarebbe stato responsabile. Tra i nostri clienti abbiamo realtà operanti nel campo dell'energia elettrica, della farmaceutica, dell'oil & gas, dell'alimentari. Rientriamo tra quelle realtà che forniscono servizi necessari per la popolazione. Lo dimostra il fatto che sono stati i nostri clienti operanti in questi settori a chiederci, nei giorni scorsi, garanzie sulla nostra operatività. Pertanto, pur con tutte le precauzioni del caso e lasciando piena libertà al nostro personale, non abbiamo chiuso e non chiuderemo».