Cos’hanno deciso i leader al G20
È stata un’edizione da record. Il G20, che si è concluso domenica 16 novembre a Brisbane, in Australia, è stato il più ricco di eventi in agenda da quando, con lo scoppio della crisi economica globale nel 2008, il meeting s’è trasformato da punto di incontro per ministri delle Finanze e Governatori delle Banche Centrali delle 20 economie mondiali più forti a tavola rotonda dei leader globali più influenti. Tony Abbott, primo ministro australiano e “padrone di casa” dell’edizione, ha stilato un’agenda di ben 900 diversi punti, discussi in una 3 giorni (i protagonisti politici dei vari Paesi sono giunti in Australia venerdì 14 novembre) ricchissima e che ha dato vita, alla conclusione dei lavori, a circa 800 diversi accordi. Questi erano già stati discussi, e per la maggior parte approvati, a febbraio a Sidney, quando ad incontrarsi furono i ministri delle Finanze e i Governatori delle Banche Centrali dei vari Stati. Ma ora, a Brisbane, è arrivato anche il via libera dei leader politici.
Tema centrale, come anche noi abbiamo sottolineato nei giorni scorsi, la crescita, con Abbott che ha incentrato la maggior parte delle discussioni sul tema della ripresa economica e sull’abbandono dell’austerità, tanto cara ad Angela Merkel. Come sempre in questi vertici multilaterali, però, non hanno potuto restare fuori dal tavolo di discussione anche temi collaterali di emergenza internazionale (clima ed ebola) e di diplomazia (situazione in Ucraina). Non si è parlato, invece, delle tensioni in Medio Oriente e di come contrastare l’avanzata dell’Isis in Afghanistan e Siria.
La crescita. Dal punto di vista economico, i 20 leader hanno sottoscritto un documento in cui c’è l’impegno di tutti a raggiungere, da qui al 2018, una crescita dell’economia mondiale pari al 2,1%, una stima decisamente superiore a quella delle previsioni sino ad oggi note. Tra i punti discussi e sottoscritti per raggiungere l’obiettivo, c’è anche la ratifica del Transatlantic Trade and Investment Partnership tra Europa e Stati Uniti, cioè il cosiddetto TTIP di cui tanto s’è parlato negli ultimi mesi (e di cui anche noi abbiamo scritto QUI), relativo all’apertura di un mercato di libero scambio tra Vecchio e Nuovo Continente che andrebbe a creare la più grande area di mercato libero al mondo. Dal punto di vista economico sono stati stilati anche diversi piani tesi a riformare il mondo del lavoro in ottica globale e abbattere la corruzione che colpisce diverse Nazioni dalle economie più avanzate. Naturalmente il tutto in un piano di crescita complessiva, ma anche in maniera, secondo diversi analisti, assai superficiale, essendo questi temi di competenza prettamente interna ad ogni Stato e necessitando quindi di riforme specifiche.
Emergenze internazionali. A far maggiormente discutere però, come spesso accade in questi casi, sono stati i temi collaterali, ovvero quelli non specificatamente inseriti in agenda da Abbott ma che non potevano essere esclusi, per forza di cose, dal tavolo di discussione. Uno di questi era il tema del cambiamento climatico. Il primo ministro australiano è stato fortemente criticato dalla sua popolazione per non aver inserito la questione nel programma del G20, anche perché la popolazione australiana è da sempre molto vicina alla tematica. È stato soprattutto Barack Obama, supportato da alcuni leader europei, a voler trattare l’argomento e a voler inserire i punti discussi nel documento di chiusura dei lavori. Da quel che è dato sapere, la discussione non è stata affatto semplice: Abbott ha difeso con forza l’industria dei combustibili fossili e del carbone, che molta ricchezza porta nelle casse del suo Stato, supportato anche dai leader di Canada e Arabia Saudita, che di quei settori industriali fanno i loro perni economici; sul fronte opposto, invece, Stati Uniti e Europa, che da tempo spingono per tentare di ridurre l’impiego globale di combustibili fossili, puntando invece sulle forme di energia rinnovabile. Alla fine l’impressione è che si sia giunti all’ennesimo nulla di fatto, con il documento finale che, al riguardo, dice solo: «È importante razionalizzare ed eliminare i finanziamenti ai combustibili fossili inefficienti».
Impossibile non trattare poi il tema del virus ebola che sta colpendo con una violenza mai riscontrata in passato diversi Paesi dell’Africa Occidentale. Ad oggi sono circa 5mila le persone rimaste vittime del virus, e i numeri crescono giorno dopo giorno. Il Fondo Monetario Internazionale s’è impegnato a finanziare con 300 milioni di dollari Sierra Leone, Liberia e Guinea, cioè i Paesi colpiti dall’epidemia, mentre gli Stati che non l’hanno ancora fatto si sono impegnati ad inviare finanziamenti e personale medico e medicine per tentare di porre fine a questa strage umanitaria.
La diplomazia internazionale, ovvero l’Ucraina. Seppur non presente in agenda, è stato chiaro sin dal primo giorno di incontri che il tema dell’Ucraina sarebbe stato al centro delle discussioni tra i vari leader. Infatti, nelle ore in cui il G20 prendeva il via, diverse truppe armate russe sono entrate nell’Est dell’Ucraina per dare manforte ai separatisti, in continua battaglia con l’esercito governativo. Molto dure le dichiarazioni di diversi leader occidentali contro Vladimir Putin, in particolare del premier canadese Stephen Harper, che dopo aver stretto la mano al Capo di Stato russo, gli ha detto: «Devi andartene dall’Ucraina». Meno netti, ma comunque duri, Obama, David Cameron e la Merkel, con gli ultimi due che hanno lasciato intendere di voler inasprire le sanzioni alla Russia se la situazione non cambierà nelle prossime ore. Apparentemente più cauto il nostro primo ministro, Matteo Renzi, che ha avuto un cordiale scambio di battute con Putin il primo giorno di incontri, ma che non è riuscito a compiere una vera e propria mediazione tra Russia e Stati Occidentali. Putin, infatti, irritato dagli atteggiamenti tenuti nei suoi confronti dagli altri leader, ha deciso di lasciare il G20 in anticipo, non partecipando al pranzo di chiusura dei lavori e partendo nella mattinata di domenica 16 per fare ritorno a Mosca. Una mossa mediaticamente forte e che non è certo una mano tesa alla diplomazia.
Ha lasciato perplessi il fatto che, invece, i leader non abbiano toccato due temi internazionali assai caldi: la situazione in Medio Oriente e, in particolare, il continuo rafforzamento dell’Isis. A far quasi da eco a questa “dimenticanza” del G20, il prolungarsi dello stop ai negoziati tra Palestina e Israele e l’ennesima decapitazione di un ostaggio da parte dei terroristi del Califfato, che nella giornata di domenica 16 novembre hanno diffuso il video dell’uccisione di Peter Kassig, cittadino americano, ex soldato, convertitosi all’Islam e andato in Siria un anno fa nel ruolo di operatore umanitario.