Che cos'hanno detto Lerner e Boeri lunedì in Santa Maria Maggiore
Foto di Luca Baggi e Molte fedi sotto lo stesso cielo/Pagina Facebook
Per Daniele Rocchetti, segretario provinciale delle ACLI di Bergamo, stiamo diventando «il Paese di Crono», il titano che mangiava i suoi figli. Questo perché siamo abbiamo il tasso di invecchiamento più alto al mondo, mentre la fecondità decresce e i giovani emigrano all’estero dopo aver rinunciato a trovar lavoro in Italia: lo ha detto l’ISTAT in un rapporto di qualche giorno fa, «che non aggiunge nulla di nuovo a quanto già sapevamo». Molte fedi sotto lo stesso cielo ha ospitato il giornalista Gad Lerner e il presidente dell’INPS Tito Boeri per sapere se è possibile un «patto tra generazioni» in Italia.
La vicenda di Concetta Candido. Gad Lerner è a suo agio: sorride e non gli dispiace stuzzicare Boeri, ma a questo volto solare alterna un’espressione scura e seria mentre affronta questi discorsi fondamentali per il dibattito politico italiano. Lerner ha appena finito di scrivere un libro sulla vicenda di Concetta Candido, la donna che si è cosparsa di liquido infiammabile nell’ufficio dell’INPS di Torino Nord lo scorso 27 giugno. Concetta e la sua famiglia «versavano in condizioni di indigenza assai gravi» perché per cinque mesi dopo il licenziamento non avevano ricevuto né la liquidazione né i sussidi di disoccupazione per la mancanza di un certificato medico. Com’è possibile?
La replica di Boeri. «Le amministrazioni - spiega Boeri - sono chiamate a rispettare una legge del 1924» che blocca i sussidi per i lavoratori licenziati durante un periodo di malattia che non hanno consegnato un certificato di «ristabilita capacità lavorativa» oltre a quello di malattia. Il problema di fondo è proprio questo: per colpa di queste norme datate «lo Stato italiano non offre strumenti per contrastare in maniera efficace la povertà come il reddito minimo garantito» (che è diverso dal reddito di cittadinanza) e «l’INPS viene considerata come la diretta responsabile di queste leggi», quando ovviamente non è così.
La critica ai sistemi di protezione sociale. Questo problema è alla base della crisi del ceto medio che si è accentuata in questi anni per via della globalizzazione. È difficile contrastare la competizione dei Paesi emergenti, soprattutto quando lo sviluppo tecnologico «ha reso obsolete alcune prestazioni del passato», anche se a beneficio dei consumatori. Il problema, però, non è la globalizzazione: ancora una volta sono proprio i sistemi di protezione sociale ad essere inadatti, perché risalgono alla Grande Depressione del 1929 e permettono di gestire solamente «situazioni temporanee di difficoltà e non le crisi strutturali». Ancora una volta, c’è bisogno di nuove norme.
Lo squilibrio generazionale. Le politiche dello Stato italiano hanno poi sempre tutelato i pensionati piuttosto che i giovani, nella falsa convinzione che i più anziani li avrebbero aiutati. Purtroppo non è così: vivendo “a casa dei nonni” i giovani «non possono rendersi autonomi, cercare lavoro in un’altra città e crearsi un progetto di vita: non possiamo permetterci di trattarli così». Ma non finisce qui: un’altra radice di questo squilibrio sono le scarse assunzioni a tempo indeterminato. «All’INPS abbiamo bisogno di tanti giovani, ma non possiamo assumerli perché le politiche interne danno la priorità agli avanzamenti di carriera degli impiegati». I contratti a tempo determinato sono troppo «forti»: l’ultima riforma ha reso possibile di rinnovarli fino a sei volte nell’arco di tre anni e da ciò deriva una conseguenza chiarissima: in Italia non si investe nella loro formazione. I datori di lavoro sanno che non staranno lì a lungo e per questo i giovani dedicano il loro tempo a cercare un altro lavoro per quando il contratto scadrà. Ma senza un «capitale umano» arricchito di queste competenze non c’è modo di aumentare la crescita, né di competere con i paesi emergenti.
Le posizioni impopolari di Boeri. Il presidente dell’INPS sa di sostenere in particolare due posizioni contro una parte dell’opinione pubblica. Per prima cosa, ha un giudizio positivo sul Jobs Act, forse non nella sua totalità ma sicuramente nella misura in cui «ha permesso a molti giovani di essere assunti con un contratto a tempo indeterminato». Il Jobs Act mirava proprio a far sì che le imprese investissero nella formazione dei giovani, ma Lerner precisa che in fondo ora che gli sgravi fiscali sono terminati e il 90 per cento dei contratti è ritornato ad essere a termine. La seconda è che visto che il numero di contribuenti diminuisce di anno in anno, diventa sempre più necessaria la contribuzione dei migranti economici regolari: «Lo scorso anno hanno versato otto miliardi nelle casse dello stato e ne hanno prelevati tre». Ne abbiamo bisogno, anche se comunque anche il loro numero è in calo e «nel lungo periodo sarà un grave problema» per tutto il sistema pensionistico. Ma attenzione: Boeri sa bene che «questo non vuol dire che trattiamo troppo bene i rifugiati e non stiamo dando aiuto ai disoccupati» (qui trovate un approfondimento di Bergamopost sul tema).
Le pensioni, le pensioni d’oro e i vitalizi. Infine, Boeri difende l’adeguamento automatico dell’età pensionabile, che non ha nulla a che vedere con la riforma Fornero e che tra qualche mese dovrebbe aumentare di altri cinque mesi arrivando a 67 anni netti. La ragione è semplice: la speranza di vita fortunatamente si alza e gli studi condotti hanno dimostrato che un’età pensionabile più bassa non riduce il tasso di disoccupazione giovanile, anzi è proprio il contrario. C’è solo una cosa, che forse sorprenderà i più: Boeri ritiene che il problema dei vitalizi sia un’urgenza da risolvere il prima possibile. Non solo le previsioni suggeriscono che «se si convertisse il sistema dei vitalizi a quello pensionistico contributivo si risparmierebbero duecento milioni l’anno», ma soprattutto scredita la classe politica al governo «che non capisce che sta facendo un regalo alla propaganda populista». L’INPS in merito ha depositato proposte di legge che non sarebbero nemmeno incostituzionali, a detta di Boeri, e ha ricevuto dal Parlamento la richiesta di esaminare il DdL Richetti, ma non è stata in grado di farlo: «Non possediamo i dati individuali e non possiamo fare il calcolo esatto, ma il parlamento si è rifiutato di fornirceli».