Il professore

Facoltà di Medicina all'Università di Bergamo? Remuzzi dice no: «Non è il caso, serve altro»

Lo scienziato bergamasco di fama internazionale va controcorrente: «Ce ne sono già tante, adesso sarebbe solo dannosa. Piuttosto, servirebbero un’Alta Scuola per i manager della Sanità e ingegneri per tecnologie di avanguardia e robot ospedalieri»

Facoltà di Medicina all'Università di Bergamo? Remuzzi dice no: «Non è il caso, serve altro»
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di Angela Clerici

«L’idea di aprirsi di più alla Medicina da parte dell’università mi sembra ottima. Ma non per istituire semplicemente un’altra facoltà di Medicina a Bergamo, questo, francamente, non mi sembra opportuno. Piuttosto io penso sia importante istituire qualcosa che non esiste altrove, per esempio una Scuola superiore di sanità che in Italia non c’è, una Scuola superiore che insegni come si governa un ospedale, una clinica, un’azienda sanitaria... Ce n’è un grande bisogno».

Giuseppe Remuzzi, bergamasco, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, uno degli scienziati più autorevoli del mondo, interviene in maniera lucida e approfondita nel dibattito suscitato dalla proposta del rettore Remo Morzenti Pellegrini: l’istituzione di una facoltà di Medicina a Bergamo. Morzenti parte da tre elementi: il gran numero di studenti che hanno deciso quest’anno di affrontare il test di Medicina (più di ottocento a Bergamo), l’apertura progressiva della nostra università in questo campo (per esempio esistono già un corso di Ingegneria delle tecnologie per la salute, uno di Psicologia clinica e una collaborazione con l’università di Milano Bicocca, il Papa Giovanni e l’università del Surrey per un corso di laurea in Medicina in lingua inglese); per ultima, una ragione storica: già nel 1965 Bergamo stava per varare un corso di laurea in Medicina, espressione dell’università di Pavia, ma non se ne fece niente.

La sede di via dei Caniana dell'Università di Bergamo

Professor Remuzzi, lei ritiene che l’apertura di una normale facoltà di Medicina a Bergamo non sarebbe un fatto positivo.

«No, perché di facoltà di Medicina ce ne sono tante, tra pubbliche e private: soltanto a Milano ci sono la Statale, Bicocca (a Monza), San Raffaele, Humanitas. Poi ci sono quelle di Brescia, Varese, Pavia, Modena, Parma... Siamo circondati da facoltà di Medicina e la situazione non può reggere. Bisogna considerare che una facoltà di Medicina drena l’ottanta per cento delle risorse di qualsiasi università. Significherebbe impoverire tutti gli altri studi».

E quindi?

«Quindi non è il caso, non adesso che l’università di Bergamo sta decollando e che offre corsi di laurea di sicuro richiamo come tutte le diverse Ingegnerie, per esempio. E c’è anche una ragione educativa: è meglio che i ragazzi vadano via da Bergamo, facciano esperienza di vita e di studio in altre realtà, per la loro crescita. È essenziale».

Che cosa propone?

«Propongo di potenziare quelle facoltà che ci sono e che funzionano già bene, tipo alla Statale di Milano».

E per Bergamo?

«Come dicevo, Bergamo deve puntare a qualche cosa di nuovo, sempre legato alla Medicina. Penso alle potenzialità di Ingegneria, penso alla necessità di sviluppare l’intelligenza artificiale, la robotica, le biotecnologie... Non servono medici per sviluppare una robotica per gli interventi chirurgici, non sono i medici che progettano le macchine. Servono bravi ingegneri, fisici, matematici, anche per noi medici e per gli ospedali. Il Politecnico di Milano si impegna in questi settori, potremmo incrementare l’impegno in quella direzione».

Parlava di una Scuola superiore di sanità.

«Certo, utilizzando le competenze che in parte già a abbiamo a Bergamo grazie a Economia, a Ingegneria gestionale... Figure di manager, di giovani preparati, in grado di governare un’azienda sanitaria. Potrebbe diventare un polo di eccellenza...

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