Nuovi dettagli

Estintore mai utilizzato vicino alla stanza di Elena Casetto, morta nel rogo al Papa Giovanni

È stato ascoltato Angelo Zanchi, tra i primi vigili del fuoco a intervenire al momento dell'incendio, appiccato dalla giovane nel reparto

Estintore mai utilizzato vicino alla stanza di Elena Casetto, morta nel rogo al Papa Giovanni
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Quell'idrante mai utilizzato e la negligenza nelle procedure di emergenza. Emergono nuovi dettagli sul processo che vede indagati con l'accusa di omicidio colposo per il decesso di Elena Casetto, la diciannovenne morta in seguito al rogo scoppiato nel reparto di Psichiatria dell'ospedale Papa Giovanni XXIII nell'agosto 2019. A.B., trentaduenne di Lissone, ed E.G., trentunenne di Paderno Dugnano, erano all'epoca dei fatti dipendenti della squadra antincendio della Gsa, la società di Udine che gestiva il servizio di pronto intervento in ospedale.

La vittima, Elena Casetto, era una ragazza di origini brasiliane residente a Osio Sopra: è stata lei ad appiccare l'incendio, dando fuoco alle lenzuola con un accendino che - in qualche modo - era riuscita ad introdurre, sfuggendo ai controlli. Ad ucciderla, i fumi e lo shock termico. Dopo la sua morte i due uomini sono stati indagati dal pm Letizia Ruggeri per negligenza e imperizia: gli addetti non sarebbero stati in grado di seguire le previste procedure del piano di emergenza. Ma non solo: anziché usare l'idrante a muro che si trovava di fronte alla stanza della ragazza, avrebbero tentato di usarne un altro (apparentemente senza successo) distante trenta metri, tardando nel chiedere rinforzi.

«La visibilità era zero»

Dopo il rinvio a giudizio risalente allo scorso anno, durante il processo è stato chiamato in aula Angelo Zanchi, il Vigile del Fuoco del distaccamento di Dalmine che insieme ai colleghi Domenico De Carlo e Michele Maccarini è stato il primo a intervenire sul rogo. Come riporta Corriere Bergamo, Zanchi ha raccontato nel dettaglio quella «trappola di fumo e calore» a cui si è trovato di fronte durante le operazioni di soccorso. La squadra, secondo il racconto di Zanchi, è arrivata sul posto pochissimi minuti dopo l'allarme. Un addetto all'antincendio e una dottoressa gli hanno indicato le scale per il terzo piano, ma procedere era impossibile: «la visibilità era zero».

Così ai soccorritori era stata indicata un'altra strada, un dipendente li avrebbe accompagnati aprendo la porta antincendio che si trovava vicino alla stanza della ragazza. Nel frattempo, dall'esterno, l'autobotte puntava alla finestra nel tentativo di abbassare la temperatura e domare il rogo. A quel punto, uno dei Vigili ha preso l'idrante che si trovava nella cassetta al muro, proprio di fronte alla stanza della giovane vittima, al terzo piano della Torre 7. Era ancora intatta: il soccorritore l'ha srotolata, ha attaccato la lancia e mandato l'acqua nel tubo. Così ha spento gran parte delle fiamme. A trenta metri dalla stanza è stato trovato anche un altro idrante, srotolato ma senza la manopola di sicurezza: chi aveva tentato di usarlo, forse, non ci era riuscito.

A rinvenire il corpo della ragazza è stato proprio Zanchi: si trovava alla destra del letto, a terra, la caviglia sinistra ancora legata dalle cinghie che la contenevano a letto dopo un tentativo di suicidio. Durante le indagini è stato trovato anche l'accendino che avrebbe innescato l'incendio, ma un nuovo dettaglio fa presumere che gli accendini fossero due: sul comodino dell'altra paziente, assente in quel momento, sono stati rinvenuti componenti metallici riconducibili a un accendino combusto.

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