Gli ambientalisti bergamaschi: «Non serve riaprire gli impianti sciistici. E ai gestori non vanno dati soldi»
Il Governo vuole tenere tutto chiuso; Regioni, imprenditori ed enti del territorio si oppongono. L'associazione Orobievive: «Le persone vanno in montagna anche senza impianti. Eguagliare montagna e sci è arrogante. Non condividiamo chi chiede soldi per restare chiuso: sono realtà tenute in vita artificialmente»
Il provvedimento del Governo ancora non c'è (l'attuale Dpcm scade il 3 dicembre), ma pare ormai scontato che gli impianti sciistici, questo inverno, non apriranno. Troppo alto il rischio di assembramenti e, dunque, di fare ripartire la corsa del virus. Una scelta, quella che il Governo sta portando avanti, fortemente contrastata dai governatori delle Regioni alpine, compreso Fontana. Ma anche, ovviamente, dagli operatori "bianchi" del territorio.
Nei giorni scorsi, PromoSerio (ente di promozione di Val Seriana e Val di Scalve) ha lanciato un appello per fare in modo che si possa salvare la stagione invernale, e lo stesso ha fatto anche la Cisl. Una posizione che, però, non è condivisa da tutti. Orobievive, cioè il coordinamento informale delle associazioni ambientaliste della provincia di Bergamo che si occupa delle nostre montagne, ha scritto una lettera alla nostra Redazione per esporre la propria posizione, completamente opposta a quelle esposte qui sopra da altri. Il tema è particolarmente "caldo" anche in Piemonte, dove, come raccontano i colleghi di PrimaTorino, si sta lavorando a un "Piano anti-Covid" per la neve.
Di seguito, il testo della lettera di Orobievive.
Spettabile redazione,
Leggiamo delle richieste dei gestori degli impianti sciistici che chiedono di poter aprire, sostenendo che senza la riapertura la montagna soffrirebbe.
Crediamo tuttavia che la riapertura degli impianti sia tutt’altro che necessaria: questa estate la montagna ha visto un’ottima stagione, come non ne vedeva da tempo e, ovviamente, non certo per merito degli impianti sciistici. Dunque le persone vanno in montagna anche senza impianti, a fare altro che non sia lo sci di discesa.
Crediamo che voler eguagliare montagna e sci sia a dir poco arrogante: da tempo si vede come i nuovi trend siano bob, ciaspole, escursionismo, wellness, agriturismo, B&B, ristorazione di alta qualità, mentre lo sci da discesa è da anni in continua riduzione. Nessuno di questi dipende dalla pratica dello sci di discesa.
Ricordiamo anche come all’inizio della pandemia vi sia stata molta preoccupazione per gli assembramenti che si erano creati nelle stazioni sciistiche e come le foto circolate sui social e gli articoli apparsi su questo giornale abbiano mostrato i rischi che si erano creati presso gli impianti, nonostante le raccomandazioni di distanziamento fossero già state emesse. Questo ci porta a guardare con grande cautela l’ipotesi di riaperture degli impianti.
Pensiamo poi che la richiesta di ristori non sia condivisibile: nella maggior parte dei casi e degli anni, questi impianti hanno operato in perdita, e già in passato hanno avuto bisogno di supporto pubblico. Riteniamo che tenere in vita artificialmente attività che sono in perdita strutturale e non più coerenti con l’andamento climatico degli ultimi anni sia controproducente, e che si debba invece facilitare la transizione verso attività ambientalmente più compatibili, a maggior valore aggiunto e con migliori prospettive occupazionali. Crediamo, quindi, che si debbano focalizzare le risorse sugli ambiti più innovativi e più in linea con i trend attuali, piuttosto che basare la ripartizione delle risorse sulla maggiore o minore capacità di fare lobby.
Le risorse, sia quelle naturali che quelle economiche, non sono infinite e più debito faremo, senza che questo possa offrire ritorni futuri, più lasceremo un fardello oneroso ai giovani ed alle prossime generazioni.