Inchiesta sull'accoglienza dei migranti a Bergamo, non ci fu nessuna «mangiatoia»
Dopo tanto fango, caduti i sospetti su don Davide Rota, don Maffioletti e don Trussardi. Scagionati anche i funzionari di Comune e Prefettura
di Luigi de Martino
Quando la notizia esplose, il fango schizzò in tutte le direzioni. Ci fu chi, un anno fa, si affrettò a sputare su alcune delle persone coinvolte nell’inchiesta. Si trattava di un’indagine su presunti reati legati all’ospitalità ai richiedenti asilo.
In particolare qualcuno se la prese con le persone più conosciute, e rispettate, della città. Pensiamo a don Davide Rota, a don Massimo Maffioletti, don Alessandro Sesana e a don Roberto Trussardi, per esempio, rispettivamente superiore del Patronato San Vincenzo, parroco di Longuelo, responsabile della cooperativa Agro e direttore della Caritas diocesana bergamasca, tutti in prima linea per cercare di dare un futuro alle persone immigrate in Italia dai Paesi più in difficoltà del pianeta.
Il consigliere comunale di Bergamo e deputato della Lega, Alberto Ribolla, dichiarò: «Come Lega, da anni denunciamo la gestione dell’ospitalità dei richiedenti asilo. I provvedimenti confermano quello che da sempre segnaliamo: si è trattato di una truffa. Il sistema dell’accoglienza di Bergamo si è dimostrato una mangiatoia per molti». Accuse pesanti, partite da una fuga di notizie dalla Procura di Bergamo.
Fango, giudizi avventati, senza prudenza, senza attendere lo sviluppo dell’inchiesta. Non importava che a carico dei preti coinvolti non ci fosse nemmeno uno straccio di avviso di garanzia, né mai ci sarebbe stato. Invece importava che, in qualche modo, i loro nomi figurassero nelle indagini. Lo spiega bene il Procuratore della Repubblica quando dice che l’avviso di garanzia viene inviato soltanto a chi nell’indagine comincia a trovarsi in una posizione seria, delicata: è uno strumento proprio di “garanzia”, un avviso perché la persona possa pensare a una difesa.
Non è stato così per i preti citati e per tanti altri indagati, perché mancavano i presupposti. Quindi, niente avviso di garanzia e nemmeno avviso di archiviazione ora, quando le loro posizioni sono state stralciate dall’inchiesta (stralcio che riguarda più della metà delle 83 persone coinvolte in un primo tempo).
Ma ad alcuni politici, ad alcuni giornali e a un bel po’ di perditempo, che sermoneggiano sui social, di questo non importava. Così il quotidiano La Verità di Maurizio Belpietro fece il titolo: «I preti sfruttano i migranti, Gori li premia», e poi nel sommario: «Nel dicembre del 2018, il sindaco di Bergamo consegnò al sacerdote Davide Rota una benemerenza... Peccato che il parroco lucrasse sull’attività degli stranieri, cosa per cui ora è sotto inchiesta, utilizzando le sue conoscenze».
Si scagliò contro preti e laici che si adoperavano nell’accoglienza anche Matteo Salvini, che dichiarò: «Mentre il governo insiste con la sanatoria, spalanca i porti e pensa di cancellare i decreti sicurezza, la Procura di Bergamo indaga l’ex numero 1 della Caritas, una coop e alcuni funzionari pubblici. Il sospetto: dietro gli appelli e le campagne per l’accoglienza e la solidarietà degli immigrati, c’era sete di denaro».
Quando si seppero le accuse, a molti venne da ridere, ad altri montò la rabbia. Don Davide che lucrava sugli immigrati? I funzionari della prefettura e del Comune di Bergamo che si erano fatti in quattro in quel periodo così difficile sarebbero stati complici? Le cooperative accusate perché riuscivano a mantenere bene i migranti spendendo venticinque o trenta se non trentacinque euro al giorno? (...)